Carceri duri

Postiamo uno scritto tratto da mentecritica.it

cordatesaSono cresciuta in carcere, figlia di una criminalità più o meno organizzata; in carcere ci sono nata, e oltre il cortile in cui mi rifugio nelle ore d’aria, non ho mai visto nulla riguardo il resto del mondo, se non fuggevolmente attraverso le grate. Qui in carcere abbiamo quasi tutti la chiave per uscire, e chi non ce l’ha porta sempre con sé una forcina da imparare a manovrare per l’occasione. Tutti i giorni c’è qualcuno che esce, che fugge. C’è anche chi arriva da fuori, da carceri peggiori, a cercare chissà cosa. Qualcuno torna a raccontarci qualche storia da fuori, alcune sono belle e altre brutte. Tutto sommato, dai racconti, fuori sembra tutto diverso ma poi il totale rimane quasi invariato.  Parlano di altri carceri, diversi ma sempre carceri. Alcuni più ordinati, altri più sanguinosi, altri ancora mezzi deserti o sovraffollati. Qui, alla fine, non ce la passiamo troppo male. Almeno per ora.

Qui in carcere non siamo organizzati: ognuno per sé e nessuno per tutti. Rispettiamo più o meno le regole che i guardiani ci pongono a turno, ma oltre il velo dell’apparenza regna il caos. Chi deve subire subisce, la violenza non è un optional. Anche io ho esercitato violenza, più volte, con piacere: qui siamo l’uno contro l’altro, ogni centimetro occupato dal nemico è spazio vitale in meno per me, ossigeno privato ai miei polmoni, acqua negata alla mia sete. L’unica cosa in abbondanza è il cibo, se riesco ad esercitare abbastanza violenza da riuscire a uccidere. I guardiani ogni tanto, se te li lavori bene, fanno finta di non vedere. E comunque in generale si fanno i cazzi loro, se non sei così stolto da infastidirli in maniera diretta.

In quest’ultimo periodo va di moda marchiarsi a vicenda, con un grosso ago comune. I tipi di marchio sono sostanzialmente tre, e ognuno si sente in diritto di inciderlo a sangue sulla pelle degli altri. C’è chi del suo marchio va fiero e se l’è inciso da solo, chi se lo vorrebbe strappare, chi ne porta addosso due o addirittura tre. Tutti prima o poi finiscono marchiati: anche io ho il mio marchio, e ogni volta che qualcuno viene a ripassarlo brucia e mi vorrei amputare il braccio. Poi passa, e me ne dimentico fino alla volta successiva.

Guardiani, in teoria, possono esserlo tutti, ma in realtà non vedo mai detenuti-guardiani: anche i pochi che lo diventano o sono guardiani in apparenza e continuano ad essere trattati da detenuti, oppure dimenticano il loro passato. Non si può essere guardiani e detenuti allo stesso tempo, chi lo ha fatto è impazzito e subito dopo scappato via, oppure è stato sbranato

Anche i guardiani sono marchiati, chi più e chi meno come i detenuti. In realtà non c’è una vera differenza tra guardiani e detenuti, se escludiamo il fatto che loro dormono tutti insieme e noi stiamo in celle separate: ognuno per sé e nessuno per tutti. La vera differenza è solo questa: noi ci facciamo la guerra, loro giocano a farsela di giorno, ma quando cala la notte dividono sempre lo stesso cuscino. Qui dentro, comunque, hanno sempre tutti odiato i guardiani o almeno alcuni di loro, da ché sono nata. I guardiani se ne fottono e fanno bene, tanto il loro interesse non cambierebbe le cose.

Da qualche mese il carcere si è diviso in fazioni a seconda del marchio ricamato: lo scopo è distruggere i marchi nemici. Chi ne ha più d’uno ha più nemici più accaniti o più amici più seguaci, a seconda se il marchio se lo è inciso da solo o lo ha subìto dagli altri. Qualcuno dice che questa guerra è stata avviata dall’ultimo marchio arrivato, qualcun altro sostiene che è una trovata dei guardiani per tenerci buoni ed evitare scomodi cambiamenti che sembravano in agguato. Io non lo so, so solo che qualsiasi tipo di intolleranza non porta in nessun luogo oltre il nazifascismo, e che qua dentro c’è troppo caos per delle orecchie come le mie, che ci sentono benissimo e il rumore non lo sopportano. Evadere, però, è il mio incubo peggiore: sono una bestia da carcere, e scappare segna una resa che per orgoglio e senso del dovere non posso dichiarare.

Il mio sogno più elevato è riuscire a portare un po’ di pace in questo carcere, prima di morire o essere sbranata. Per il momento, l’unica cosa che mi è riuscita di fare, è stata solo portare ulteriore rumore.


Comments are disabled.