Sassari, chiuso San Sebastiano

cordatesaAl momento di salutare i suoi muri scrostati e i suoi spazi angusti, i suoi bagni alla turca e le sue docce nei sotterranei, qualcuno si è perfino commosso. Non c’è da stupirsi, hanno spiegato gli agenti. Tra i detenuti “comuni”, quelli che ieri alle 9.10 hanno avuto il piccolo privilegio di aprire la carovana del trasloco dal carcere di San Sebastiano a quello di Bancali, c’era chi nel palazzo ottocentesco con struttura a stella ha trascorso a periodi alterni gran parte della vita. Nessuno rimpiangerà l’inferno di San Sebastiano, questo è certo, però è comprensibile che qualcuno abbia avvertito l’inquietudine del distacco da un luogo conosciuto. Anche il disagio e l’inciviltà possono diventare situazioni familiare.

Il cuore stanco del vecchio carcere si è fermato in una calda giornata di luglio. Alle 16.30 era tutto finito. Nello stesso momento, 148 uomini, 13 donne e un bambino piccolo che la mamma ha voluto con sè dietro le sbarre cominciavano ad ambientarsi nelle celle della nuova struttura di Bancali. Gli agenti riferiscono che la prima impressione di tutti è stata di spazio, di luce, di comodità impensabili fino a pochi minuti prima: aria condizionata, bagno con doccia. Troppo di tutto, dopo tanto buio, l’umidità che ti entrava nelle ossa, la paura di essere svegliati nel cuore della notte da una pantegana arrivata dalle fogne ottocentesche delle “turche” dentro le celle. Un salto dal Medioevo alla civiltà moderna, per quanto un carcere sia sempre un carcere.

Le operazioni di trasferimento dei detenuti sono cominciate molto presto e hanno coinvolto tutto il personale della polizia penitenziaria sassarese. Nessuno è voluto mancare, perché quello di ieri è stato un giorno epocale. Dopo 140 anni di disonorata carriera, il vecchio carcere di via Roma ha chiuso i battenti. Era ancora presto quando la direttrice Patrizia Incollu e il sostituto commissario Tiziano Pais, comandante del nucleo traduzioni, hanno raggiunto la grande costruzione nelle campagne di Sassari dove hanno smistato i nuovi arrivati. Per sette ore – supportati dalla polizia, dai carabinieri e dai vigili urbani – gli agenti hanno trasportato gli ospiti nella nuova sede. Alle 18 il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Gianfranco Degesu, ha espresso la sua soddisfazione «per una operazione che non ha precedenti nella storia penitenziaria della Sardegna, ma credo che ne abbia pochi anche in Italia».

I sassaresi che si sono trovati a passare in via Roma dalle 7 alle 16.30 hanno assistito alle fasi del trasferimento come si segue il trasloco di un vicino di casa. Non con indifferenza, ma di educata curiosità. Sarà il tempo a dire se quel palazzo ormai vuoto nel cuore della città è anche un’assenza.

La chiusura di San Sebastiano è stata un tema che ciclicamente ha occupato il dibattito cittadino. Non c’è politico o amministratore sassarese che negli ultimi trent’anni non abbia chiesto a gran voce la fine di quella che è stata definita in tanti modi che possono essere riassunti con due parole: vergogna italiana. San Sebastiano è stato un malato terminale tenuto in vita artificialmente oltre ogni accanimento terapeutico. Chi oltrepassava la sua porta carraia, oltre al suo debito personale, pagava il conto supplementare e non dovuto di uno stato incapace di trasformare un luogo di espiazione in uno spazio dove fosse possibile anche la rieducazione. Anche per questo, ieri mattina, tra gli agenti indaffarati nel più grande sfollamento della storia, si respirava l’atmosfera di eccitata soddisfazione. E forse per questo, coordinati dal loro comandante Pier Maria Basile, gli agenti hanno orgogliosamente voluto fare tutto da soli senza rinforzi dagli altri istituti. Sessanta uomini e donne hanno fatto la spola tra la città e la nuova sede dove, annuncia il provveditore regionale, «per questa estate non sono previsti nuovi arrivi. Questo periodo ci servirà per testare il nuovo istituto». Bancali, con i suoi 450 posti, adesso è fin troppo spazioso per chi fino a ieri era costretto a dividere la cella con dieci persone. Sollecitato, il provveditore coglie l’occasione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Lo fa rispondendo a una domanda sulla polemica sollevata dal deputato Mauro Pili che nei giorni scorsi aveva definito una «inaugurazione con il trucco» perché nella nuova struttura mancherebbero all’appello 182 agenti, «più della metà di quelli previsti in organico». «Normalmente non faccio polemiche – replica a distanza il provveditore – ma ad oggi a Sassari ci sono più agenti che detenuti». Degesu spiega che il calcolo fatto da Pili parte da un numero concreto, che tiene conto della quota sassarese dei 500 agenti in più previsti ad aprile per gli istituti sardi, ma che è legato alla capienza delle nuove strutture. «Attiveremo l’istituto di Bancali – taglia corto il provveditore – di pari passo con l’incremento degli organici». Intanto Bancali si prepara ad accogliere il ministro della Giustizia, Cancellieri, che domani mattina inaugurerà la nuova struttura.

In città, invece, già si parla di cosa fare di quel vecchio carcere a un passo dai palazzi del centro. Anche questo tema caro alla politica, per quanto al momento si tratti di esercitazioni teoriche. Il carcere, vincolato dalla Soprintendenza, appartiene al ministero che potrebbe decidere di utilizzarlo per realizzare uffici giudiziari. Scelta caldeggiata dalla classe forense e dalla magistratura, ma anche progetto di complicata realizzazione. Nell’Ottocento San Sebastiano venne progettato come un carcere ed è difficile, ora, ripensare la struttura in chiave moderna. Per prima cosa Sassari, che ha sempre tollerato la “stella” di via Roma come una presenza talvolta ribollente di dolore e di disagio, dovrà abituarsi al silenzio. Come i detenuti, del resto, per i quali i rumori della città erano un modo per scandire il tempo.

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