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Rivolta al CIE di via Corelli

Nel primo pomeriggio c’è stata una rivolta nel Cie di via Corelli, alla fine la polizia ha arrestato 27 persone, quasi tutte provenienti dal nordafrica. Poche le informazioni disponbili, alcuni detenuti hanno appiccato un incendio dopo una perquisizione da parte della polizia. Gli agenti cercavano oggetti metallici, pile, lamette, batterie di cellulari e altri oggetti spesso usati per atti di autolesionismo. Gesti estremi per finire in ospedale e riannusare per qualche ora aria di libertà.
I detenuti hanno dato fuoco a materassi e altri oggetti a portata di mano, le fiamme si sono estese rendendo inagibile tutto il settore composto di cinque camerate. I vigili del fuoco hanno spento l’incendio e dichiarato inagibile il settore.
In 27 sono finiti in Questura e poi nel carcere di San Vittore, dove sarebbero tutt’ora. Non è chiaro dove saranno spostate le altre persone detenute in quel settore del Cie dato che le cinque camerate sono inagibili.
Tra gli arrestati non ci sarebbero feriti.

15/01/2012


Evasione da Regina Coeli

ROMA_

Due detenuti, uno romeno e l'altro albanese ristretti nelle 2/a sezione 
dell'istituto per rapina, sono evasi stamani dal carcere romano di
Regina Coeli. Lo si apprende dalla polizia. I due, probabilmente dopo
aver segato le sbarre, si sono calati unendo delle lenzuola.

La fuga, a quanto si e' appreso, sarebbe stata scoperta alle 8,30. Nella
cella c'era anche un terzo detenuto che non e' potuto fuggire perche'
era ''troppo grosso'' per riuscire a passare nel buco realizzato dai tre
segando le sbarre.

''A Regina Coeli i detenuti hanno raddoppiato le presenza consentite
superando del 25% persino la capienza massima raggiungibile (1.180
presenti per 724 posti) - aggiunge il segretario generale dell'Osapp
Beneduci - ma il vero problema riguarda la carenza di personale di
polizia penitenziaria (oltre il 30%), tant'e' che i due detenuti si sono
potuti agganciare al muro di cinta per poi calarsi nelle vicinanze di
una delle garitte prive di sentinelle da tempo, proprio per la mancanza
di addetti''.

''Nel frattempo e' in atto nella Capitale e nelle cittadine del litorale
laziale - aggiunge - una vastissima operazione della polizia
penitenziaria e delle forze dell'ordine per la cattura degli evasi ma
l'episodio e' significativo di come la tensione e i pericoli derivanti
dall'attuale e grave emergenza penitenziaria non siano per nulla
diminuiti e di quanto il Governo - conclude il sindacalista - abbia
ancora da fare rispetto alle esigenze, anche riorganizzative, del corpo
di polizia penitenziaria''.

Evasione a Pisa

 

PISA, 9 GEN – Due detenuti sono evasi stamani dal carcere Don Bosco di Pisa, facendo un buco nel muro e poi riuscendo a calarsi a terra con un lenzuolo usato come corda. Uno dei due evasi, un nordafricano, durante la fuga è caduto, si è fatto male ed è stato subito fermato ed arrestato. Ora si trova ricoverato e piantonato nel reparto di ortopedia dell’ospedale pisano. Proseguono le ricerche dell’altro evaso, un italiano.


Saluto di Capodanno al carcere di Monza

Nella prima ora dell’anno nuovo in ottanta siamo andati a portare i nostri saluti e la nostra solidarietà sotto le mura del carcere di Sanquirico. Abbiamo cercato per quanto possibile di trascinare fuori dal centro e dai quartieri un pezzetto di quella felicità e di quella festa che riempiva le strade e le case dei cittadini monzesi. Abbiamo cercato anche solo per venti minuti di condividerle con i detenuti, regalando loro un po’ di luci e rumori con fuochi d’artificio, botti, battiture, slogan e uno speakeraggio con cui si spiegava il motivo che ci ha spinto ad andare sotto quelle mura per ribadire ulteriormente il nostro rifiuto per ogni forma di detenzione. Abbiamo pensato fosse importante per noi “liberi” e gradito a loro “reclusi” creare un momento per legare il dentro al fuori, anche se soltanto in maniera simbolica, e che esprimesse la ragion d’essere del nostro collettivo. Siamo convinti che questo gesto sia stato molto importante sia per dimostrare che qualcuno fuori si interessa a quel che succede dietro le mura e che, soprattutto in situazioni come quella del carcere di Monza, in cui due settimane fa si è ucciso un detenuto e dove le condizioni strutturali e di permanenza sono pessime, sia d’importanza fondamentale far sentire la nostra vicinanza nei confronti dei ristretti, specialmente in un giorno di festeggiamenti come l’ultimo dell’anno.

Abbiamo provato e i fatti ci hanno dato ragione: la risposta giunta da dentro è stata calorosa e molto partecipata. Grazie anche all’eco naturale dell’ambiente circostante le grida di ringraziamento e gli inni alla libertà hanno vibrato nitidi nell’aria e hanno davvero raggiunto i nostri cuori. Il calore empatico creatosi ha rinforzato la nostra convinzione che la lotta contro qualunque forma di reclusione, siano essi carceri, CIE, TSO o OPG e contro un potere che sempre più reprime senza mai dare risposte, se non creando nuovi luoghi di prigionia ai margini delle città e lontani dagli sguardi del cittadino medio, sia una lotta seminale e fondamentale per ogni collettivo o individuo che fa politica.

Contro il carcere e la società che lo crea

 

CordaTesa


Il carcere uccide ancora

Due detenuti sono morti in carcere, uno a Trani, per cause da accertare,
un altro a Torino, impiccandosi in cella. Ed un altro ha tentato il
suicidio a Vigevano.
Il carcerato che si e' tolto la vita nell'istituto penitenziario delle
Vallette si e' impiccato in cella con un lenzuolo. E' successo ieri sera
un paio d'ore prima della mezzanotte. Il suicida, secondo quanto si
apprende, e' C.A., un romeno 37 anni in attesa di giudizio. Era recluso
nella sezione ''Rugby'' del blocco E. ''La polizia penitenziaria -
commenta Leo Beneduci, segretario generale del sindacato Osapp - e'
sempre piu' sola nel fronteggiare questo tipo di emergenze e, purtroppo,
sempre meno in grado di risolverle. Avremmo voluto che nel 2012 il
governo avesse varato misure veramente risolutive, e non i palliativi
che lasciano le cose come stanno. Comprese le morti nelle carceri''.

Un detenuto di 34 anni, di Lecce, e' morto ieri nel carcere di Trani per
cause in corso di accertamento. La notizia e' stata resa nota dal
vicesegretario generale nazionale dell'Osapp, Domenico Mastrulli. La
scoperta e' stata fatta dagli agenti della polizia penitenziaria nel
corso di un giro di ispezione. I genitori dell'uomo, secondo i quali il
loro congiunto non era in condizioni fisiche tali da poter sopportare il
regime carcerario, chiedono che si faccia chiarezza sulle circostanze
della morte. Il 34/enne era detenuto per reati contro la persona e il
patrimonio. ''Nel carcere di Trani - sottolinea Mastrulli - ci sono
circa 400 detenuti uomini e 39 donne contro una capienza regolamentare
di 233 posti letto''.

Un detenuto nel carcere di Vigevano ha tentato di suicidarsi nella
propria cella intorno alla mezzanotte di ieri. Lo comunica la Uil
Penitenziari. "Si tratta di un detenuto 37enne di nazionalit=E0 italiana -
afferma Eugenio Sarno, Segretario generale Uil penitenziari - che ha
tentato di impiccarsi con una striscia di stoffa ricavata dalle
lenzuola. Fortunatamente l'agente di sorveglianza si =E8 accorto di quanto
stava capitando ed =E8 intervenuto per liberarlo", salvandogli la vita.

Il sindacato di Polizia Penitenziaria rinnova l'appello ai politici per
una soluzione al sovraffolamento carcerario. La politica trovi con
urgenza soluzioni "politiche e amministrative" al problema, sempre pi=F9
grave, e che lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,
ha segnalato nel suo discorso di fine anno tra le nuove emergenze della
vita civile. E' l'auspicio di inizio 2012 espresso dal Sappe, sindacato
di polizia, che ha espresso in una nota "vivo apprezzamento" per le
parole del capo dello Stato. "Come Sindacato Autonomo Polizia
Penitenziaria SAPPE, il primo e pi=F9 rappresentativo della Categoria,
auspichiamo - afferma Donato Capece, segretario generale del SAPPE - che
Governo e Parlamento trovino con urgenza soluzioni politiche e
amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario
italiano". "Alla vigilia dell"indulto del 2006 - aggiunge - dicemmo che
quell"iniziativa sarebbe stata un autentico suicidio politico se alla
stessa non si fosse aggiunta una profonda rivisitazione delle politiche
della Giustizia e dell"assetto dell"Amministrazione penitenziaria. E
questo vale anche per una ipotetica amnistia". Misure strutturali,
dunque, che il Sappe torna a sollecitare.

Suicidio in carcere a Monza

Monza – Tragedia in carcere a Monza. Nel pomeriggio di domenica un detenuto della sezione maschile, di nazionalità italiana e poco più che quarantenne, si è tolto la vita inalando il gas contenuto nella bomboletta che tutti i detenuti hanno in dotazione. Inutili i soccorsi della Croce rossa di Brugherio, giunta sul posto con un’ambulanza e un’automedica. Sono comunque ancora in corso accertamenti per stabilire se si è trattato di suicidio o di una morte dovuta ad un ”eccesso di sballo’

”L’ennesimo suicidio di un detenuto morto dopo aver inalato il gas della bomboletta, avvenuto nel carcere di Monza, bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario, impone a nostro avviso di rivedere la possibilità che i ristretti continuino a mantenere questi oggetti nelle celle. Ogni detenuto puo’ disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come veicolo suicidario. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l’ uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti”. E’ quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la prima e piu’ rappresentativa organizzazione di categoria, alla notizia di una nuova morte in carcere a Monza.

Il dramma che ha coinvolto la casa circondariale di via San Quirico è solo l’ultimo di una lunga serie che ha funestato l’anno che si sta per chiudere. Nel corso del 2011 sono stati 11 i tentativi di suicidio registrati, 87 gli episodi di autolesionismo, 2 le aggressione subite dagli agenti della polizia penitenziaria, 84 gli scioperi della fame. Alla base di questa protesta continua, il sovraffollamento del carcere monzese, che conta oggi 713 detenuti a fronte di una capienza massima stimata in 405 unità. E proprio la prigione monzese potrebbe essere una delle prime a essere interessata dal decreto svuota-carceri in fase di ultimazione da parte del ministro di Grazia e giustizia Paola Severino. A novembre alcuni settori del carcere erano stati chiusi perché dichiarati inagibili: 150 detenuti erano così stati trasferiti in altri penitenziari lombardi.

Fonte: Il Cittadino di Monza e Brianza, 18/12/2011

 


Nuovi suicidi e svuotacarcere all’orizzonte

 

Da inizio anno 64 detenuti si sono tolti la vita, mentre il numero complessivo dei decessi in carcere sale a 180. I due suicidi sono avvenuti nelle carceri di Busto Arsizio (Varese) e Civitavecchia (Roma). In entrambi i casi si sono tolti la vita cittadini stranieri.

Si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo a una finestra. È successo questa mattina nel carcere di Civitavecchia dove un detenuto, di nazionalità greca, si è tolto la vita nel locali dell’infermeria. A quanto si apprende da fonti mediche l’uomo, detenuto dall’8 agosto scorso nella casa circondariale, soffriva di depressione. Sul suo corpo non sono stati trovati segni di violenza. La salma è stata trasportata presso l’obitorio del Verano a Roma per l’esame autoptico.
Nel carcere di Busto Arsizio un detenuto si è suicidato ingerendo gas da una bomboletta. Il giovane, stando alle prime notizie, è morto dopo aver sniffato il gas delle bombolette usate in carcere per cucinare. La cosa più drammatica è sapere che non ha retto ben sapendo che tra solo un mese sarebbe uscito dal penitenziario. Il ragazzo, tuttavia, non è riuscito ad aspettare il fine pena e, probabilmente assillato dalle drammatiche condizioni di vita dietro le sbarre ha deciso di farla finita.

Fonte: Ristretti Orizzonti

Nel frattempo mentre nelle patrie galere ci si ribella e si muore in Parlamento si fa ancora una volta finta di interessarsi ai detenuti.

Sono 3.300 i detenuti che, con il piano “svuota carceri”, usciranno sei mesi prima e sconteranno quel che resta della pena ai domiciliari. Il “pacchetto” predisposto dal ministro della Giustizia Paola Severino, contenente anche interventi sul processo civile e la conciliazione obbligatoria, punta sulle pene alternative e consentirà risparmi di 380 mila euro al giorno. Tolto dal pacchetto il “braccialetto elettronico” per il controllo a distanza dei detenuti. Arrestati trattenuti nelle caserme prima delle direttissime.

Venerdì, a 48 ore dalla visita del Papa Benedetto XVI a Rebibbia che domenica mattina celebrerà la messa davanti ai detenuti, arriva in consiglio dei ministri il pacchetto carceri del ministro della Giustizia Paola Severino. Il Guardasigilli sta mettendo a punto un testo a due velocità (un decreto e un ddl) per alleggerire la pressione sui 206 istituti italiani stracolmi (68.047 presenze) oltre ogni capienza regolamentare: “La situazione è esplosiva – hanno scritto al ministro i direttori delle carceri – e se deflagrasse le conseguenze sarebbero devastanti e capaci di minare la credibilità dello Stato”.
Nel pacchetto Severino – contenente anche un intervento sul processo civile e sulla conciliazione obbligatoria – il decreto legge punta alle pene alternative, amplificando gli effetti del decreto “svuota carceri” varato nel dicembre del 2010 dal ministro Angelino Alfano che m un anno ha consentito a circa 4.000 detenuti di scontare il residuo pena (massimo 12 mesi) ai domiciliari, il governo Monti riprende quella formula (si passa a 18 mesi di residuo pena da scontare a casa), stimando che ora saranno 3.300 i detenuti destinati con effetto immediato ad uscire dal carcere per passare alla “detenzione domiciliare”: il risparmio teorico sarebbe di 380 mila euro al giorno. Il nuovo “svuota carceri” rimane un provvedimento a tempo che scade il 31 dicembre del 2013 anche se il Pd, con Donatella Ferranti, insiste perché vada a regime.
Se il decreto produrrà effetti immediati – verrà forse rafforzato anche l’obbligo, non sempre rispettato dalle forze dell’ordine, di trattenere gli arrestati in camera di sicurezza fino al processo per direttissima – bisognerà aspettare tempi più lunghi per valutare l’impatto del disegno di legge che modificherà il codice penale. In particolare, i tecnici di via Arenula si stanno concentrando sulla detenzione domiciliare intesa come pena principale (al pari della reclusione e dell’ammenda) che il giudice potrà infliggere. In altre parole, il condannato in via definitiva alla detenzione domiciliare non passerà un solo giorno in carcere.
Il ministro – che lunedì ha visitato il carcere di Buoncammino dove ieri si è suicidato un detenuto algerino di 25 anni (è il secondo caso in pochi giorni a Cagliari) – è rimasta molto colpita anche dalla mini rivolta del carcere di Monteacuto (Ancona) che ha fatto accelerare i tempi. Tanto da anticipare il varo del decreto al Consiglio dei ministri di venerdì togliendo dal pacchetto, però, il “braccialetto elettronico” per il controllo a distanza dei detenuti che (11 milioni all’anno per 450 dispositivi disponibili) non convince il ministro: in realtà sono funzionanti solo 9 bracciali, 7 dei quali utilizzati dagli uffici giudiziari di Campobasso, i cui responsabili, il procuratore Armando D’Alterio e il presidente del tribunale Enzo Di Giacomo, oggi saranno ricevuti al ministero.
Il problema, per il governo, è sempre quello di contemperare il rispetto della legalità in carcere e il diritto alla sicurezza riconosciuto a ogni cittadino. Lo “svuota carceri” del 2010, osservano in via Arenula, non ha prodotto evasioni e recidive perché i beneficiari sono stati selezionati secondo criteri rigidi: rimangono fissi, dunque, i paletti fissati che escludono i reati gravi e di particolare allarme sociale dalla lista II ministro vuole agire con prudenza e lo ha ribadito anche nel recente incontro con l’Associazione nazionale magistrati. Ma domani, in sede di approvazione della manovra alla Camera, la radicale Rita Bernardini presenterà un ordine del giorno in cui si impegna il governo “a prevedere scadenze certe entro le quali dimezzare i procedimenti penali pendenti” e a varare “un ampio provvedimento di amnistia e di indulto”.

Dal Corriere Della Sera 14/12/2011

 


E dopo Ancona e Parma anche a Bologna è rivolta

Bologna, 13 dicembre 2011 – Non solo a Parma, da due giorni i detenuti del carcere di Bologna battono le
stoviglie contro le grate e i cancelli e fanno scoppiare alcune bombolette di gas per protestare e per chiedere l’amnistia. “Ancora una volta la Polizia penitenziaria e’ impegnata a mantenere la situazione sotto controllo – dice in una nota Domenico Maldarizzi, coordinatore provinciale della Uil penitenziari di Bologna. Il problema e’ noto, la Dozza e’ sovraffollata e i poliziotti sono pochi e ora il “fiorire di tensioni interne al penitenziario e’ un problema aggiuntivo che il personale, gia’ oberato dalle emergenze, deve affrontare in solitudine e con scarsi mezzi”.

Dopo le violente proteste nella casa circondariale di Parma, con l’accensione di fuochi nelle celle, anche Bologna sembra avere problemi. Per Maldarizzi, insomma, non si puo’ annunciare la costruzione di cinque nuovi padiglioni in Emilia-Romagna, “mentre gli attuali stanno crollando per mancanza di fondi per la manutenzione”. E soprattutto non si puo’ dimenticare il fatto che il personale in regione, “gia’ oggi e’ carente di oltre 700 agenti“, e nella sola Bologna “ci sono oltre 140 agenti distaccati nei superiori uffici”.

E’ “inutile varare leggi che alimentano, vanamente, la speranza, ma non producono deflazioni significative alle presenze detentive”. Infine, conclude Maldarizzi, “e’ ingiusto e immorale che al personale si chiedano sforzi e sacrifici per evitare il crollo, ma poi gli si neghino riposi, congedi e persino le spettanze economiche dovute a questo surplus di lavoro ed impegno”.

Da: Il Resto Del Carlino

 


Rivolta nel carcere di Parma

Una violenta protesta è scoppiata nella struttura penitenziaria. Carcerati hanno gettato nei corridoi bombolette di gas, bastoni, scope e generi alimentari e poi hanno dato fuoco alle lenzuola. Il Sappe: “Temiamo che le proteste possano estendersi in altri istituti del Paese”

Carcere, detenuti in rivolta Un agente intossicato
Violenta protesta ieri sera in un reparto del carcere di Parma. Intorno alle 20.30 – si legge in una nota del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria – alcuni detenuti hanno gettato nei corridoi bombolette di gas, bastoni, scope e generi alimentari e poi hanno dato fuoco alle lenzuola, creando una grossa nuvola di fumo. Ad avere la peggio l’agente in servizio nella sezione cui è stata riscontrata una intossicazione guaribile in 15 giorni.

La protesta nel carcere parmigiano – che segue i recenti fatti di Ancona – è stata tenuta sotto controlli dagli agenti della polizia penitenziaria i quali, in breve tempo, hanno fatto rientrare tutto nell’alveo della normalità. “Temiamo che le proteste possano estendersi in altri istituti del Paese – si legge nella nota del Sappe – dove ormai diventa difficile gestire la situazione, a causa delle gravi difficoltà operative, dovute alla carenza di personale di Polizia penitenziaria ed al sovraffollamento dei detenuti”.

In Italia, viene osservato, ci sono 68.047 detenuti, a fronte di una capienza di 45.636 posti. L’Emilia Romagna è una delle regioni più affollate d’Italia, con una percentuale di oltre il 180%: i detenuti presenti sono 4.041, a fronte di una capienza di 2394 posti. In Italia, sottolinea ancora l’organizzazione sindacale, “mancano 6.500 unità di personale, tra agenti, sovrintendenti, ispettori, commissari; in Emilia Romagna ne mancano 650 e Parma non è esente da questa situazione: mancano 170 unità di personale, in un
carcere dove bisogna gestire oltre 50 detenuti sottoposti al regime del 41 bis, in una una delle strutture più complesse d’Italia”.


Rivolta nel carcere di Ancona

 

ANCONA – Il carcere di Montacuto, ad Ancona, scoppia e i problemi di sovraffollamento e in generale le condizioni di vita all’interno del penitenziario hanno fatto divampare la protesta, accendendo tra la tarda serata di ieri e questa mattina una rivolta cui ha preso parte una ventina di detenuti, tutti maghrebini, che si sono asserragliati nelle celle armati di lamette da barba per poi appiccare incendi in cinque-sei locali. La protesta è stata spenta dalla polizia penitenziaria in assetto antisommossa, e non vi sarebbero stati feriti. L’emergenza ora è rientrata e i detenuti sono in isolamento.

Tutto è cominciato ieri sera, quando un detenuto marocchino si è cucito la bocca con ago e filo. Altri hanno dato alle fiamme le lenzuola, e oggi la contestazione è ripresa, con un altro magrebino che si è cucito la bocca. Poi il caos, con piccoli roghi, alimentati da bombolette di gas da campeggio, spenti dal personale con gli estintori. Il fumo ha invaso la sezione interessata dagli incidenti, e i detenuti che non vi avevano preso parte sono stati messi in sicurezza. Nessuno, tra i carcerati e gli agenti, è stato ricoverato in ospedale, ma è probabile che qualcuno abbia fatto ricorso alle cure in infermeria.

Che Montacuto sia una polveriera è ormai noto, tanto che, solo due giorni fa, il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta vi ha fatto una visita a sorpresa. Oggi, ha ammesso che le condizioni del carcere sono “difficili”, a causa del sovraffollamento,

della mancanza di personale e di carenze varie, aggiungendo che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria esaminerà in tempi rapidi gli interventi da adottare.

E non si contano le interrogazioni parlamentari sul problema del sovraffolamento: 440 detenuti a fronte di una capienza di 178. Ultima in ordine di tempo quella dei parlamentari radicali Rita Bernardini e Mario Perduca ai ministri della Giustizia e della Sanità, in cui si segnalava il fatto che i detenuti dormono su materassi per terra perché il carcere è ormai al collasso. Mentre la protesta di oggi sarebbe stata motivata anche dalla mancanza di riscaldamento.

Anche il Garante regionale dei detenuti, Italo Tanoni, ha inviato giorni fa una lettera al neo ministro della Giustizia Paola Severino – che oggi si è messa immediatamente in contatto con Ionta per chiedere informazioni – facendo presente che “con il rapporto di 236 detenuti ogni 100 posti (la media Ue è 97 su 100, quella italiana 148 su 100), la struttura di Ancona è al quarto posto nella graduatoria del sovraffollamento assieme a Catania”.
I sindacati della polizia penitenziaria tornano a far sentire la propria voce: “Ancona – dice il segretario regionale e consigliere nazionale del Sappe Aldo Di Giacomo – è ormai un caso nazionale, come vado ripetendo da tempo. Ma questo non giustifica quello che è avvenuto: per i responsabili della rivolta auspico punizioni esemplari”. “Quello accaduto nel carcere di Montacuto è un episodio gravissimo – gli fa eco il segretario nazionale dell’Ugl Giuseppe Moretti -. L’istituto vive delle gravi problematiche a causa del sovraffollamento, problema che riguarda gran parte delle strutture italiane ed è per questo che, per evitare il ripetersi di simili e ingiustificabili episodi, servono provvedimenti urgenti”.

Gli ultimi dati nazionali forniti due giorni fa dalla Uil penitenziari parlano di una popolazione carceraria che ha sfondato quota 68mila persone, a fronte di una capienza di 44.385 posti. I detenuti sono diventati esattamente 68.017 (65.121 gli uomini, 2.896 le donne), 23.632 in più di quanto gli istituti potrebbero contenerne. Il sovraffollamento medio nazionale ha così raggiunto il 53,2%.


Italia, detenuto si suicida in cella

La scorsa notte, nel carcere del Dozza di Bologna, si è tolto la vita un carcerato di 34 anni di origine marocchina. Era detenuto da luglio, in attesa del processo per traffico di stupefacenti. Si tratta del secondo suicidio in pochi giorni a Bologna, il terzo in Emilia in due settimane e il sessantesimo in Italia dall’inizio del 2011.

L’uomo si è tolto la vita inalando gas da una bomboletta e a nulla è servito l’intervento degli agenti.

Lo denuncia il Sappe, il sindacato autonomo di polizia giudiziaria. E la Uil si unisce con un comunicato che grida all’emergenza: ”Proprio la Dozza, con circa 1.100 detenuti presenti contro i 480 che potrebbe ospitare, è uno dei luoghi emblematici del sovraffollamento penitenziario”.

Fonte: Peace Reporter 05!12/2011

 


Nuove modalità di carcerazione nella circolare del DAP

La circolare Dietro le sbarre solo per il pernottamento
Dal bianco al rosso Ogni detenuto avrà il suo codice
Celle aperte per i meno pericolosi Sovraffollamento Una piccola rivoluzione nel tentativo di rendere meno dura la vita
nelle prigioni sovraffollate Il documento «I trattamenti devono essere conformi ad umanità e rispettosi della dignità
della persona»
ROMA – Un tempo si chiamavano celle, e tutti continuiamo a usare quel termine. Ma la dizione ufficiale è «camere di
pernottamento» e così dovranno essere di fatto, non solo di nome. I detenuti italiani assegnati al regime di «media sicurezza» –
la grande maggioranza, più di 50.000 rispetto al totale di 67.500 – dovranno tornare nelle «camere» solo di notte. Durante il
giorno potranno muoversi liberamente all’ interno della prigione: «Il perimetro della detenzione dovrà estendersi quanto meno
ai confini della sezione ovvero, dove possibile, anche agli spazi esterni alla stessa, seguendo così l’ indicazione dell’
ordinamento penitenziario sin qui scarsamente attuata». È quanto dispone la nuova circolare intitolata «Modalità di esecuzione
della pena – Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione», diramata ieri dal
Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria a tutti i provveditori e direttori delle carceri. L’ ha firmata il responsabile del
Dap, Franco Ionta, insieme a Sebastiano Ardita, il direttore dell’ Ufficio detenuti che l’ ha materialmente redatta come ultimo
atto della sua decennale permanenza al Dipartimento, prima di tornare a fare il pubblico ministero in Sicilia. Si tratta di una
piccola rivoluzione, un tentativo di rendere meno dura la vita nelle prigioni sovraffollate come mai lo erano state prima d’ ora, e
di attuare il principio costituzionale della pena tesa al reinserimento sociale dei condannati. Anche attraverso la loro
collaborazione. Il presupposto del nuovo corso è che «per larga parte della popolazione detenuta è possibile e saggio applicare
un regime penitenziario più aperto». E forse anche alla luce di episodi più o meno gravi di persone che dietro le sbarre hanno
subito abusi o soprusi, nella circolare si ricorda che nei confronti del detenuto «devono essere attuati interventi trattamentali
conformi ad umanità e rispettosi della dignità della persona». Quanto ai reclusi, con le norme appena varate viene «elevato il
grado di responsabilizzazione di ciascuno, potendo ogni ristretto contribuire, con la propria condotta, alla adozione per tutti del
regime meno afflittivo»; cioè quello di una «vita penitenziaria connotata da libertà di movimento, secondo precise regole di
comportamento». Entro tre mesi negli istituti dovranno essere pronte le sezioni aperte dove i reclusi ammessi potranno
muoversi a piacimento per l’ intera giornata, al di là della tradizionale ora d’ aria. E per stabilire chi potrà accedere a questo
regime si procederà al censimento e a un’ inedita catalogazione della popolazione detenuta. Tenendo conto della «ragione dell’
ingresso in carcere», quindi dei reati di cui si è accusati, ma anche della «condotta intramuraria» (cioè all’ interno dell’ istituto),
della «risposta al trattamento penitenziario», delle «reazioni mantenute nei momenti difficili» e del «rispetto non meramente
formale né strumentale delle disposizioni interne», nonché del «modo di relazionarsi con altri ristretti». Ne verrà fuori una
classificazione legata alla pericolosità che ricalca quella adottata nei Pronto soccorso degli ospedali: codice bianco, verde,
giallo e rosso, per misurare la pericolosità del detenuto, e dunque «il concreto rischio che il ristretto, condannato o imputato, si
renda autore di evasione o di episodi di turbamento dell’ ordine e della sicurezza interna all’ istituto». Col codice bianco saranno
classificati i reclusi per «reati che non hanno comportato violenza o minaccia alle persone», oppure che risultino
potenzialmente preliminari ad atti di violenza, come il possesso di armi; che non appartengano ad associazioni per delinquere o
«comunque gravitanti in contesti di criminalità mafiosa» e che abbiano fin qui tenuto una «buona condotta intramuraria,
partecipando al trattamento in modo attivo». Questi andranno direttamente ammessi al «regime aperto», senza altri accertamenti
e vincoli. Per i detenuti col codice verde – stessi requisiti del bianco a parte il primo, e cioè siano accusati di reati «connotati da
violenza o minaccia alle persone» – andrà fatta un’ attenta valutazione per escludere pericoli di fuga o di «turbamento dell’
ordine e della sicurezza» prima di essere ammessi alla libertà di movimento, che in ogni caso andrà «tendenzialmente»
concessa. Il codice giallo verrà attribuito ai detenuti per reati di violenza che «pur non avendo tenuto comportamenti
intramurari violenti né condotte pericolose, abbiano mantenuto atteggiamenti di tipo dissociale ovvero siano incorsi in
violazioni disciplinari». Per loro la regola s’ inverte, e la possibilità trascorrere le giornate fuori dalle «camere di
pernottamento» sarà riconosciuta solo dopo «una prima ragionata scelta che tenga conto di altri fattori in grado di escludere il
pericolo di evasione o turbamento». Infine ci sarà il codice rosso, assegnato ai reclusi responsabili di atti di violenza o tentativi
di evasione, che abbiano partecipato ad associazioni per delinquere finalizzate a reati violenti o collegate, sia pure
indirettamente, alla criminalità organizzata. Ad essi il regime aperto sarò di norma negato, «salvo il manifestarsi di specifiche
evidenze di senso contrario tanto rilevanti da far escludere in modo ragionevole la possibilità di pericoli»; in ogni caso ciò potrà
avvenire dopo un «adeguato lasso di tempo» nel quale l’ équipe di osservatori e responsabili dovrà decidere all’ unanimità l’
ammissione al «regime aperto». L’ assegnazione del codice non sarà definitiva bensì legata a «riunioni periodiche dell’ équipe
che potranno rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosità del detenuto e procedere ad una loro
modifica». Inoltre, «l’ ammissione alla detenzione aperta non costituisce un diritto acquisito», ma potrà essere revocata «ove il
detenuto tenga condotte che ne dimostrino la pericolosità e quindi l’ inidoneità ad un regime meno custodiale di quello
“chiuso”». Da oggi i direttori del penitenziari hanno sessanta giorni di tempo per attribuire i codici – che andranno indicati nei
fascicoli personali e in tutti i documenti delle persone finite in carcere, subito dopo il nome e il cognome – stilare gli elenchi di
coloro che possono essere ammessi alla detenzione aperta e indicare gli spazi da assegnare a chi potrà circolare durante il
giorno all’ interno delle sezioni «aperte».

Fonte: Corriere Della Sera.

 


FUOCO ALLE CARCERI? NO, PER ORA SOLO MOLTA ACQUA!

Il carcere monzese si è allagato a causa delle piogge ripetute dei giorni passati!”. Così titolano i giornali che si ricordano dell’esistenza di San Quirico soltanto quando si allaga e non quando al suo interno muore un detenuto.

Forse è più grave la pioggia che la morte di una persona considerata inutile e in esubero nella società in cui ci troviamo a vivere dove sicurezza è solamente un altro sinonimo di repressione.

Ma sarà davvero colpa della pioggia? Possibile che un carcere presentato come tipico modello di eccellenza brianzola, in un comunicato ai limiti dell’esilarante del Comune di Monza, che entrava in netto contrasto con lo stesso emesso dal PDL brianzolo pochi giorni prima. (http://www.mbnews.it/politica/98-politica/20980-il-carcere-di-monza-secondo-il-centro-destra-dalle-stelle-alle-stalle-in-tre-giorni.html) possa essere messo in ginocchio da un evento atmosferico, comune e frequente in questa stagione?.

Sono anni che i detenuti denunciano le condizioni precarie in cui versa il carcere, condizioni evidenziate anche nei comunicati emessi dal Sappe (sindacato della polizia penitenziaria), che mettevano in guardia sulle carenze strutturali della casa circondariale di San Quirico.

Ma si è dovuto aspettare che le infiltrazioni rendessero inagibile e pericolosa la sezione A.S., (dove l’acqua è arrivata fin dentro le plafoniere delle luci), osservazione e tutta la zona dei colloqui ,che saltasse l’impianto di riscaldamento, creando così una nuova emergenza unita alla situazione disumana di un sovraffollamento cronico, per capire che forse erano più di semplici allarmismi.

A quanto pare verranno trasferiti 400 detenuti per consentire le millantate ristrutturazioni. Resta da capire quando e soprattutto dove verranno tradotti gli sfollati.

Sicuramente andranno ad aumentare il numero di detenuti un qualche carcere lombardo già sovraffollato.

Soldi per il carcere non ce ne sono. Continuamente invocato come unico regolatore dei conflitti e delle tensioni sociali è ormai trasformato in una discarica sociale, dove un numero sempre più alto di detenuti sceglie il suicidio come via di fuga (finora sono 58 i suicidi del 2011) e in cui sempre più spesso si muore per “cause da accertare”.

Se a questo aggiungiamo anche un calo della qualità ma soprattutto della quantità del sopravvitto, abbiamo una situazione esplosiva continuamente ignorata da media e politica.

Ovviamente una reazione del genere da parte del potere non ci crea stupore poiché conosciamo bene la sua realtà e sappiamo benissimo che soltanto con la lotta si ha una possibilità reale di portare avanti le proprie richieste, lontano da loschi politicanti sempre in cerca di qualcosa che porti acqua al proprio mulino.

Ecco perché è necessario, in questo momento di emergenza creare un canale realmente efficiente di comunicazione con chi questa situazione la vive.

Chiediamo quindi a chiunque sia a conoscenza della reale situazione esistente in questi giorni all’interno del carcere, di informarci immediatamente in merito.

Scriveteci a:

Corda Tesa Via Casati 31, 20043 Arcore (MB)

oppure a

 

cordatesamonza@autistici.org.

Sembrerebbe che la corrispondenza a noi indirizzata, venga sottoposta a censura preventiva, a dimostrazione del timore della direzione che delle notizie troppo scomode riescano finalmente ad uscire dal muro di omertà esistente sul carcere e della paura che provano quando qualcuno, che non sia la solita associazione politica o religiosa, comincia ad agire per dare sostegno ai detenuti e per porre una critica radicale al carcere e al sistema che di esso si nutre..

Non facciamoci scoraggiare e cerchiamo di unire ancora il dentro con il fuori, fornendo una valida sponda al conflitto latente dietro le mura.

Corda Tesa Novembre 2011


Monza, carcere allagato

Monza – Sarebbe “imminente” lo sfollamento di 400 detenuti dal carcere di Monza verso altri penitenziari della Lombardia. E` l`indiscrezione resa nota dal sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. “I danni provocati dalle recenti e frequenti piogge è stato tale da avere reso inagibile parte delle celle e delle sezioni detentive”, sottolinea il segretario generale Donato Capece.

“Il provvedimento di sfollamento andrebbe dunque nella direzione di limitare i danni strutturali evidenti che si sono creati, ma ci sono ancora domande alle quali è necessario dare risposte urgenti. Intanto con quali mezzi si intendono tradurre i detenuti, visto che il reparto di Polizia di Monza non ne ha a sufficienza; poi vorremmo sapere quali urgenti interventi di manutenzione sono stati prediposti, considerato che il carcere rimarrà funzionate, con diverse centinaia di poliziotti penitenziari e circa 500 detenuti”.

Capece ricorda che nei giorni scorsi il Sappe ha scritto al capo dell`amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che è anche Commissario straordinario per l`edilizia carceraria, per “segnalare che presso la casa circondariale di Monza la situazione è ormai arrivata ai massimi livelli di infiltrazioni piovane di tutta la struttura: il tutto dovuto dalla pioggia che si è abbattuta negli ultimi giorni sulla città. Oltre alle infiltrazioni si sta verificando che alcune plafoniere risultano piene d`acqua sicché si verifica anche l`assenza di energia elettrica, aggravando ancor di più la sicurezza sia del personale che dei reclusi. Risulta inoltre che sia saltato anche l`impianto di riscaldamento dell`intero istituto”.

Da giorni sulla città si sta ripetono acquazzoni e la struttura penitenziaria “fa acqua da tutte le parti, in particolar modo nelle sezioni ad Alta sicurezza”, dove vi è una capienza regolamentare di 100 detenuti su 50 camere; attualmente, nelle due sezioni sono presenti circa 120 detenuti quindi già con un notevole stato di sovraffollamento, “visto che fino a ieri le camere inagibili erano solo due, ed ora siamo passati addirittura a mezza sezione”.

Fonte: Il Cittadino Monza e Brianza

E questo è il comunicato stampa del SAPPE:

Monza, sarebbe imminente lo sfollamento di 400 detenuti dal carcere verso altri penitenziari della Lombardia. È l’indiscrezione raccolta dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa di Categoria.
“I danni provocati dalle recenti e frequenti piogge è stato tale da avere reso inagibile parte delle celle e delle sezioni detentive” sottolinea il Segretario Generale Sappe, Donato Capece. “Il provvedimento di sfollamento andrebbe dunque nella direzione di limitare i danni strutturali evidenti che si sono creati, ma ci sono ancora domande alle quali è necessario dare risposte urgenti. Intanto con quali mezzi si intendono tradurre i detenuti, visto che il Reparto di Polizia di Monza non ne ha a sufficienza; poi vorremmo sapere quali urgenti interventi di manutenzione sono stati prediposti, considerato che il carcere – seppur parzialmente – rimarrà funzionate, con diverse centinaia di poliziotti penitenziari e circa 500 detenuti”.
Capece sottolinea che nei giorni scorsi il Sappe ha scritto al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, che è anche Commissario straordinario per l’edilizia carceraria, per “segnalare che presso la Casa Circondariale di Monza la situazione è ormai arrivata ai massimi livelli di infiltrazioni piovane di tutta la struttura: il tutto dovuto dalla pioggia che si è abbattuta negli ultimi giorni sulla città.
Oltre alle infiltrazioni si sta verificando che alcune plafoniere risultano piene d’acqua sicché si verifica anche l’assenza di energia elettrica, aggravando ancor di più la sicurezza sia del personale che dei reclusi. Risulta inoltre che sia saltato anche l’impianto di riscaldamento dell’intero istituto; tutto il personale di servizio si è visto costretto ad intervenire all’interno dei reparti Alta Sicurezza e non solo, per trovare soluzioni onde evitare che i ristretti presenti trascorrano la propria detenzione in celle inagibili, a causa di infiltrazioni di acqua dovute alla pioggia battente.
Da giorni sulla città si sta ripetono acquazzoni e immediatamente la struttura penitenziaria fa acqua da tutte le parti, in particolar modo nelle sezioni ad Alta sicurezza, dove vi è una capienza regolamentare di 100 detenuti su 50 camere; attualmente, nelle due sezioni sono presenti circa 120 detenuti quindi già con un notevole stato di sovraffollamento, visto che fino a ieri le camere inagibili erano solo due, ed ora siamo passati addirittura a mezza sezione.
La situazione è grave, in quanto il problema non è nuovo e già in precedenza è stato portato conoscenza di chi è preposto alla risoluzione del problema strutturale dell’istituto. Il personale di Polizia Penitenziaria è stanco di sopperire quotidianamente agli inconvenienti di un sistema penitenziario che fa acqua, nel vero senso della parola, da tutte le parti: basti pensare alla presenza effettiva di detenuti; quasi 900 presenti in una struttura che era stata pensata per circa 400”.

E qui il filmato del TG3, preso dal sito della Polizia Penitenziaria.

http://www.polpenuil.it/galleria-video-audio/3871-131111-monza-infiltrazioni-dacqua-nel-carcere-servizio-del-tg3.


Video integrale senegalese morto in cella

DA RADIO ONDA D’URTO:

Radio onda d’urto, CTV, l’Associazione Diritti per tutti, il sito senegalese di informazione xelmi.org hanno deciso, con il consenso dei familiari, di pubblicare integralmente il video contenente le immagini dell’agonia e degli ultimi minuti di vita di Saidou Gadiaga, detto El Hadji.

Questa scelta, consapevoli della drammaticità e della sofferenza che questa visione provoca, è stata fatta auspicando che, come accaduto nei casi di Federico Aldrovrandi e Stefano Cucchi, questo doloroso passaggio possa contribuire a ricostruire la verità sulla morte del nostro fratello senegalese e ad ottenere giustizia.

Sabato 12 novembre corteo a Brescia per chiedere verità e giustizia per El Hadji, oltre che per ribadire – a un anno dalla lotta sopra e sotto la gru di San Fasutino – il nostro no al razzismo istituzionale e la necessità di sbloccare quanto prima i permessi di soggiorno per tutti e tutte!

clicca qui sotto per il video integrale su ctv, telestreet di Brescia:

http://ctvmail.org/tubo/video/6K5M2R28WH93/ultimi-minuti-di-vita-di-Said

 

 

Brescia, in un video l’agonia in caserma del senegalese. L’avvocato: riaprire le indagini. L’uomo venne ucciso da un attacco d’asma “Nessuno lo ha soccorso”. Grida per chiedere aiuto, picchia le mani contro la porta della cella, disperato. Le dita che escono dallo spioncino. Quando il carabiniere lo fa uscire, inizia una lenta, atroce agonia: 8 minuti durante i quali l’uomo è paralizzato dal dolore, il respiro spezzato, lo sguardo moribondo.

E nessun militare interviene. Lo lasciano lì, da solo, con la morte che lo sta strappando via dalla porta di ferro alla quale si aggrappa mentre a fatica si toglie i vestiti e tira fuori lo spray dalla tasca dei pantaloni, in un ultimo, inutile, tentativo di riuscire a respirare. Poi si accascia a terra, e muore. Sono gli ultimi minuti di Saidou Gadiaga, 37 anni, senegalese, morto dopo un attacco di asma in una cella della caserma Masotti, sede del comando provinciale dei carabinieri di Brescia. È la mattina del 12 dicembre 2010.
Quella sequenza di morte – sulla quale un magistrato ha indagato per un anno e poi chiesto l’archiviazione del caso – è contenuta in un video di cui Repubblica è entrata in possesso. Le immagini, registrate da una telecamera puntata sull’atrio antistante le due camere di sicurezza, non mostrano solamente il calvario di un uomo che soffriva d’asma e che è stato abbandonato a se stesso: assieme a nuovi elementi – forse sottovalutati -, riapre, di fatto, una vicenda che da subito era sembrata controversa. A tal punto da attivare il console senegalese a Milano e interessare i vertici dello Stato africano. Raccontiamola. È l’11 dicembre.
Gadiaga viene arrestato dai carabinieri perché sprovvisto del permesso di soggiorno e già raggiunto da provvedimento di espulsione. Se lo avessero fermato tredici giorni dopo – quando anche l’Italia recepisce la normativa europea sui rimpatri che annulla il reato di inottemperanza al provvedimento di espulsione – le manette non sarebbero scattate. Ma tant’è. Su indicazione dello stesso pm Francesco Piantoni, l’immigrato non viene rinchiuso in carcere ma nella caserma di piazza Tebaldo Brusato. Gadiaga è un paziente asmatico.
I carabinieri lo sanno perché ha subito mostrato il certificato medico. Alle prime ore del mattino il senegalese ha una crisi. Lo conferma un testimone, Andrei Stabinger, bielorusso detenuto nella cella accanto. “Sono stato svegliato dal detenuto che picchiava contro la porta e chiedeva aiuto gridando. Aveva una voce come se gli mancasse il respiro. Dopo un po’ di tempo ho sentito che qualcuno apriva la porta della cella e lo straniero, uscito fuori, credo sia caduto a terra”.
Quanto tempo è trascorso tra la richiesta di aiuto e l’intervento del militare? “Penso 15-20 minuti – fa mettere a verbale il testimone – durante i quali l’uomo continuava a gridare e a picchiare le mani contro la porta”. Il video fissa la scena e i tempi. Da quando si vedono le dita di Gadiaga sporgere dallo spioncino (sono le 7.44, l’uomo sta chiedendo aiuto già da parecchi minuti) all’arrivo del carabiniere, passano due minuti e 35 secondi. Gadiaga, uscito finalmente dalla cella, cade a terra alle 7.52: otto minuti dopo essersi sporto dalla camera. Altri 120 secondi e arrivano i medici del 118. Gadiaga è già privo di conoscenza, per lui non c’è più niente da fare. L’autopsia conferma che la morte è avvenuta a causa di “un gravissimo episodio di insufficienza respiratoria comparso in soggetto asmatico”.
E attesta, inoltre, che l’uomo “era clinicamente deceduto già all’arrivo dell’autoambulanza”. La versione dei carabinieri disegna un quadro un po’ diverso. Nella relazione di servizio inviata alla Procura, e in altre comunicazioni al consolato senegalese, i militari collocano il decesso di Gadiaga in ospedale, parlano di un aneurisma, escludono ritardi e carenze nei soccorsi. Il maresciallo che apre la porta all’immigrato viene addirittura premiato dal comandante provinciale dell’Arma. Che dice: “In un video che abbiamo consegnato alla Procura c’è la conferma della nostra umanità”.
Il video, però, racconta altro. Quando esce dalla cella Gadiaga, in evidente stato confusionale, viene lasciato solo. I militari fanno notare che l’ultima uscita dalla cella – per fare pipì – dell’immigrato, risale a otto minuti prima della crisi: “Stava bene”. In realtà l’orario delle immagini fissa quell’uscita 26 minuti prima: non otto. La testimonianza dell’altro detenuto fa il resto. “Perché i carabinieri hanno detto che Gadiaga è morto in ospedale e non in cella?”, ragiona l’avvocato Manlio Gobbi. E perché – di fronte a tanti punti oscuri – il pm ha chiesto l’archiviazione del caso? “Chiediamo nuove indagini, da subito”, aggiunge. Il consolato del Senegal, da parte sua, promette che andrà fino in fondo per chiedere che sia fatta chiarezza.

Fonte: La Repubblica


Dati carcere 2011

Dal Rapporto annuale di Antigone e Ristretti:

Il quadro generale. Detenuti a quota 67.428, un terzo stranieri. Nel corso dell’anno 84.641 gli ingressi totali. Le donne recluse sono 2.877. Tempi duri per i lavoranti. Oltre 18 mila in misura alternativa. È un sistema penitenziario in affanno, stretto tra il sovraffollamento e le difficoltà finanziarie, quello descritto dall’ottavo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione redatto dall’Osservatorio Antigone, dall’emblematico titolo “Le prigioni malate” (Edizioni dell’asino), presentato questa mattina.

La popolazione detenuta. Al 30 settembre 2011 erano 67.428 i detenuti reclusi nei 206 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 45.817 posti. Nel corso del 2010 sono stati 84.641 gli ingressi totali, di cui 6.426 di donne e 37.298 di stranieri. La componente femminile resta minima rispetto al totale della popolazione reclusa (2.877, di cui 1.182 straniere). Per 53 donne detenute e i loro figli (54 bambini) hanno funzionato 17 asili. Nel complesso, i detenuti non italiani sono poco meno di un terzo (24.401). Di questi, il 20,2% viene dal Marocco, il 14,8% dalla Romania, il 13,1% dalla Tunisia, l’11,2% dalla Albania. Delle detenute straniere presenti il 22,6% viene dalla Romania, il 15,9% dalla Nigeria. Al 30 giugno 2011 la fascia d’età più rappresentata era quella compresa tra i 30 e i 35 anni (11.594), seguita da quella compresa tra i 35 e 39 (10.835), 547 gli ultrasettantenni. Inoltre, 1.647 erano i detenuti in possesso di una laurea, 22.117 quelli con la licenza di scuola media inferiore, 789 gli analfabeti.

Tipo e durata delle condanne. I detenuti con condanna definitiva sono in tutto 37.213. Nella precedente rilevazione di giugno 2011 erano 37.376, di cui il 6,7% in carcere per condanne fino a un anno e il 28,5% fino a tre anni. Inoltre, tra i definitivi il 26,9% aveva un residuo di pena fino a un anno, il 61,5% fino a tre anni. Nel mese di settembre le persone recluse in attesa di primo giudizio erano 14.639 e i detenuti imputati 28.564. Gli internati 1.572. Al 30 giugno erano 32.991 le persone ristrette per reati contro il patrimonio, 28.092 per reati previsti dalla legge sulle droghe, 6.438 per associazione di stampo mafioso, 1.149 per reati legati alla prostituzione.

Svuota carceri e misure alternative. La cosiddetta legge “svuota carceri” (ex l. 199/2010) al 31 maggio aveva aperto le porte del carcere a 3.446 persone. Per quanto riguarda le misure alternative, al 30 settembre 2011 ne beneficiavano in 18.391, di cui 9.449 in affidamento in prova ai servizi sociali, 887 in semilibertà e 8.055 in detenzione domiciliare. La rilevazione di giugno dimostra che lo 0,46% delle persone in misura alternativa ha commesso reato nel frattempo.

Carcere e lavoro. In base ai dati di fine giugno lavoravano in carcere 13.765 persone, il 20,4% della popolazione detenuta. Tra questi, 11.508 erano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e 2.257 per datori di lavoro esterni. Antigone registra il brusco calo del budget per la remunerazione dei lavoranti: dal 2006 al 2011 è sceso di 21.735.793 euro. Per il 2011 lo stanziamento è stato di 49.664.207, nonostante i detenuti siano aumentati di oltre 15 mila unità. Altre brutte notizie, nel frattempo, sono arrivate: gli incentivi alle assunzioni di detenuti in esecuzione penale all’interno degli istituti, previsti dalla legge “Smuraglia” (n. 193/2000), per l’anno in corso non sono operativi da giugno per esaurimento del budget a disposizione per la copertura dei benefici fiscali. Una notizia, questa, che ha suscitato forti reazioni e polemiche, tanto da spingere il Dap a impegnarsi a trovare la copertura almeno fino alla fine dell’anno. Ma è ancora tutto in forse.

La mappa del sovraffollamento: maglia nera al carcere di Lamezia Terme (303%)

La Puglia è la regione più sovraffollata (183%), mentre in Trentino Alto Adige i detenuti sono meno dei posti disponibili. Sotto controllo la situazione in Sardegna e Basilicata.
Non migliora la situazione del sovraffollamento nelle carceri italiane. Le stime di Antigone parlano ancora di detenuti in eccesso rispetto alla capienza regolamentare (67.428 persone, 45.817 posti). Il carcere in assoluto più sovraffollato è quello di Lamezia Terme, il cui indice di affollamento raggiunge quota 303% (rilevazione al 30 giugno). A fronte di una capienza di 30 posti, sono 91 i reclusi, di cui 39 stranieri.

Brescia “Canton Monello” è al secondo posto, con un indice del 258% (206 posti, 532 detenuti), seguito dal 253% di Busto Arsizio (167 posti, 423 reclusi). Valori di poco inferiori sono quelli del carcere di Varese (247%, con 131 detenuti per una capienza di 53) e di Piazza Armerina (240 (108 reclusi, 45 posti). Non va meglio a Pozzuoli (236%) e Bologna (235%), così come a Vicenza (234%) e San Vittore (230%). Ma la lista del disagio penitenziario è lunga e non fa sconti.

Le regioni più affollate. Parallelamente, Antigone fa anche il punto sulle regioni più sovraffollate. Il primo posto va alla Puglia, con un indice di sovraffollamento del 183% (11 istituti, una capienza di 2.458 posti e una popolazione reclusa che arriva a quota 4.486). Segue l’Emilia Romagna con un 171%: 13 carceri, 2.394 posti, 4.089 reclusi. La Lombardia guadagna un 169% (19 istituti, capienza di 5.652 e 9.559 detenuti. Al quarto posto la Calabria (165%), al quinto il Friuli Venezia Giulia (164%) e in sesta posizione il Veneto (162%). In Trentino Alto Adige invece il sovraffollamento non è arrivato: con il suo indice del 65% la provincia autonoma si posiziona all’ultimo posto della lista: nei due istituti ci sono 520 posti disponibili, ma sono 340 i detenuti.

Le meno gravi. La situazione non è grave in Sardegna, dove in 12 istituti sono garantiti 1.981 posti e i detenuti sono 2.012 (102%). Anche la Basilicata tiene: nei suoi tre istituti ci sono 482 detenuti, mentre i posti sono 440 (110%).

Il confronto con l’estero. Record sovraffollamento e ritardo nelle misure alternative: impietoso confronto europeo. Buoni i dati sul tasso di criminalità, ma va male per quota di detenuti senza sentenza definitiva e per la percentuale di stranieri. Il sovraffollamento italiano non ha pari in Europa, a eccezione della Serbia. Lo dice l’ultima rilevazione di “Space I”: al 1° settembre 2009 il tasso di sovraffollamento in Italia era del 148,2% e rappresentava un record assoluto in Europa, superato solo dalla Serbia (157,9%). In Francia il tasso era del 123,3%, in Germania del 92%, in Spagna 141%, nel Regno Unito del 98,6%, mentre la media europea era del 98,4%.

Tassi di criminalità. Va meglio per quanto riguarda i tassi di criminalità registrati da Eurostat: l’Italia, con 4.545 reati registrati ogni 100 mila abitanti, precede Spagna e Francia, rispettivamente a quota 5.147 e 5.559. Germania e Regno Unito presentano tassi di criminalità più elevati, rispettivamente 8.481 e 7.436.

Stranieri nelle celle. L’Italia si colloca sopra la media anche per presenze straniere negli istituti penitenziari: sempre secondo “Space I” gli stranieri nelle carceri francesi erano il 18,1%, in quelle tedesche il 26,4%, in quelle spagnole il 34,6%, in quelle britanniche il 12,6%, mentre in Italia erano il 37%.

Senza sentenza definitiva. Duro anche il confronto per il numero di detenuti senza sentenza definitiva: in Francia erano il 23,5% dei reclusi, in Germania il 16,2%, in Spagna il 20,8%, nel Regno Unito il 16,7%, mentre la percentuale italiana era del 50,7%.

Reati legati alla droga.
Il nostro Paese spicca anche per la quota di persone condannate per reati previsti dalla legge sulle droghe. Al 1° settembre 2009 tra i definitivi in Francia il dato era del 14,5%, in Germania del 15,1%, in Spagna del 26,2%, nel Regno Unito del 15,4%. Alla stessa data la percentuale in Italia era del 36,9%.

Le alternative al carcere.
Grande distacco anche in materia di misure alternative: i beneficiari sono stati in Francia 123.349, in Germania quasi 120 mila, in Spagna 111.994, in Inghilterra e Galles 197.101, in Italia 13.383.

A macchia di leopardo: Tribunale che vai… C’è unanimità solo per gli affidamenti in prova ai servizi sociali. Basse percentuali per i domiciliari, a eccezione di Venezia. Irrigidimento sul fronte semilibertà. In ordine sparso, così procedono i tribunali di sorveglianza italiani nella concessione o meno delle misure alternative. Nel suo ottavo rapporto Antigone mette i luce la diversa propensione all’autorizzazione di misure quali l’affidamento in prova, la semilibertà, la detenzione domiciliare nelle diverse sedi di giustizia italiane.

La forbice delle disponibilità. Secondo quanto emerso dall’indagine esplorativa, per l’affidamento in prova ai servizi la forbice nelle percentuali di accoglimento delle istanze è ampia: va dal minimo dell’11,58% di Napoli al massimo del 39,43% di Milano. Tra i tribunali con gli indici meno elevati Antigone segnala Venezia (14,5%) e Torino (14,43%), mentre tra quelli con gli indici più elevati evidenzia Perugia (31,6%).

Affidamento terapeutico. La misura alternativa con le maggiori possibilità di successo è in generale l’affidamento terapeutico: 7 dei 9 tribunali indagati presentano tassi di accoglimento superiori al 30%. A Milano e a Venezia la percentuale arriva quasi al 50%. All’ultimo posto invece si piazza Napoli, con l’8,4%, ma non spicca neanche L’Aquila (16,04%).

Detenzione domiciliare.
Meno disomogenea è la concessione della detenzione domiciliare, che incontra una generale tendenza alla prudenza, con percentuali di accoglimenti che non superano mai il 25%. Si va dal 14,96% di Napoli e al 25,7% di Roma. In controtendenza solo Venezia, con il 49,63%.

La semilibertà. Intanto, sul fronte della semilibertà si deve fare i conti con un irrigidimento: il tribunale con la percentuale più elevata è Perugia con il 20,75%. Tra gli altri, Venezia raggiunge quota 18,44% e ancor più bassi sono i valori di Milano (5,67%), Napoli (8,25%), Roma (8,76%) e Torino (8,82%).

Come interpretare i dati. Due le interpretazioni possibili di fronte a questi dati: “In primo luogo – scrive Antigone nel rapporto – ad eccezione degli affidamenti terapeutici, c’è una tendenza a un atteggiamento prudente da parte della magistratura di sorveglianza che merita un momento di riflessione e di ulteriore analisi”. In secondo luogo, i risultati parlano di una “giurisprudenza a macchia di leopardo”. Se in alcuni tribunali si riesce a “limitare l’impatto delle famigerate leggi Ammazza – Gozzini”, altrove si tenta di “aggravarne gli effetti in senso restrittivo”. A determinare le differenze territoriali sembra essere soprattutto “l’elemento culturale locale”.

“Non riusciamo a pagare le bollette”. Ad inizio anno giudiziario la relazione ministeriale ammetteva tutte le difficoltà. Antigone: “Sicuri che non ci sia destinazione migliore per i 600 milioni di euro del piano carceri?” La vera emergenza per le carceri italiane è la scarsità di risorse. Solo ieri, 27 ottobre, il provveditore dell’amministrazione penitenziaria in Toscana, Maria Pia Giuffrida, avvisava che “non abbiamo più nemmeno i soldi per pagare il riscaldamento: per ora stiamo chiedendo aiuto alle ditte fornitrici. Qualcuna però ha già tagliato il servizio”. È quanto mai attuale, quindi, il quadro della situazione tratteggiato nell’ottavo rapporto Antigone, nel quale si descrive un sistema in affanno, a un passo dal collasso.

Debiti per 120 milioni. D’altro canto lo aveva annunciato la relazione del ministero sull’amministrazione della giustizia, pronunciata a inizio anno giudiziario 2011 e citata da Antigone. Già in quella sede si parlava di un’esposizione finanziaria “di oltre 120 milioni di euro nei confronti delle aziende e dei fornitori di beni e servizi essenziali al mantenimento e all’assistenza delle persone detenute”. Per far fronte a tutti i costi l’unica soluzione è “l’artificioso rinvio delle liquidazioni da un esercizio all’altro. Non senza il ricorrente rischio di interruzione delle forniture da parte delle aziende erogatrici”. In particolare, per il capitolo di bilancio relativo alle spese di mantenimento e di pulizia sono stati stanziati 30 milioni di euro nel 2010, “valore ben inferiore rispetto a un fabbisogno stimato in circa 90 – 100 milioni di euro” come si indicava ella relazione. Per il 2011 le risorse previste erano di 42 milioni e 600 mila euro. “In questo modo oltre al resto sul bilancio gravano anche gli interessi moratori sempre più cospicui”.

L’endemica carenza di personale. Il sistema, intanto, deve fare i conti anche con un personale in numero insufficiente: i magistrati di sorveglianza sono 193 anziché 208. La pianta organica della polizia penitenziaria prevede 45.109 unità, mentre l’attuale organico è fermo a quota 39.232. Dovrebbero esserci 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali, mentre nel 2010 ne risultavano in servizio rispettivamente 1.031 e 1.105.

La Cassa (vuota) delle ammende: il tesoretto scippato.
La cassa svuotata per l’emergenza carceraria: 100 milioni tolti al  recupero dei detenuti e convogliati in nuove carceri, per costruire le quali – secondo il Piano – si dovrebbero spendere 600 milioni. Costruire altre carceri non è la soluzione, dice il nuovo rapporto Antigone, che denuncia un uso distorto delle risorse a disposizione. Oggetto di attenzione e preoccupazione è la “Cassa delle ammende”, originariamente nata per finanziare i progetti di riabilitazione dei detenuti, ma di cui oggi si fa un uso ben diverso. Sui due conti che la compongono, quello depositi e quello patrimoniale, si trovavano fino a poco tempo fa oltre 150 milioni di euro. Soldi che arrivano dalle ammende, da sanzioni pecuniarie che il giudice impone al condannato, ma anche dai proventi delle manifatture realizzate dai detenuti o da versamenti cauzionali.

Solo scelte arbitrarie.
La scelta dei progetti da finanziare, in capo al Dap e a un delegato del ministero del Tesoro, “avviene nel più completo arbitrio, denuncia Antigone. Se ciò è accettabile qualora i richiedenti siano soggetti pubblici è invece inaccettabile qualora siano soggetti privati”. Oltre all’arbitrarietà della gestione, il problema è che di soldi, oggi, in quella cassa ce ne sono pochi. È colpa dell’emergenza sovraffollamento: il decreto “mille proroghe” ha stabilito che per affrontare la situazione “i fondi disponibili nella Casa delle ammende possono venire utilizzati anche progetti di edilizia penitenziaria”. E così il “tesoretto” scivola via: 100 milioni sono stati vincolati all’edilizia carceraria, mentre gli altri 500 milioni necessari al piano carceri sono stati previsti dalla finanziaria 2010. Tra questo e la liquidazione di alcuni progetti approvati, oggi la cassa dispone di 22 milioni. Togliendo altri 10 milioni di euro per la manutenzione degli istituti da gennaio a settembre 2011, rimane ben poco per i progetti di recupero sociale.

Il sovraffollamento però rimarrà. Il problema, tra l’altro, è che anche con le nuove carceri il sovraffollamento non cesserà. Entro la fine del 2012 arriveranno 11 nuovi istituti e 20 padiglioni per un totale di 9.150 posti e un importo di 661 milioni di euro. Ma i posti mancanti sono molti di più, per l’esattezza 21.600.

Le carceri fantasma. A tutto questo Antigone aggiunge “un’altra perplessità”, relativa alle carceri fantasma, “ossia a tutti quegli istituti penitenziari che negli ultimi 20 anni e più (circa 40) sono stati costruiti, spesso ultimati, a volte anche arredati e vigilati, ma inutilizzati, sotto – utilizzati o in totale d’abbandono”. Quindi l’amarezza: “Anziché varare un nuovo piano carceri non poteva essere più utile e meno costoso, a seconda dei casi, ultimare, mandare a pieno regime questi istituti o adattarli alle nuove necessità?”.


Morte sospetta nel carcere di Livorno

LIVORNO – Nel carcere Le Sughere di Livorno è stato trovato il corpo senza vita di Agatino Filia, che aveva 56 anni. Sarebbe tornato libero oggi. E’ il decesso numero 155 nelle carceri italiane e il 54° suicidio (se di suicidio si è trattato). Già, perchè in verità questo ennesimo episodio appare assai anomalo, tanto da meritare maggiori e più seri approfondimenti. Anomalo soprattutto per il modo in cui è stato eseguito. Agatino  non è stato ritrovato infatti, come accade di solito, appeso ad un lenzuolo. Né è stato ritrovato morto in quei luoghi dove più frequentemente i detenuti si suicidano, perché sanno di poter contare sulla solitudine, come il bagno della cella o un magazzino del carcere. Agatino Filia è stato ritrovato cadavere sulle scale del carcere. Ovvero un luogo che è tutt’altro che riservato e  dove ben poteva essere visto da chi avrebbe dovuto sorvegliarlo.

A poche ore dalla libertà.
Non solo. Il suo corpo è stato rinvenuto a terra, con un pezzo di lenzuolo vicino al corpo e non attorno al collo. Unico segno della presunta impiccagione: i lividi rinvenuti sul collo. E infine: Agatino si sarebbe ucciso a pochi giorni dalla sua scarcerazione. Oggi infatti, a poche ore dalla morte, sarebbe tornato libero, perché la sua pena era ormai terminata. Nonostante tutti questi elementi, Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha dato per scontato il suicidio di Filia ed ha affermato: “Penso che abbia avuto timore di uscire perché forse non aveva possibilità di accoglienza nella società. Altrimenti – ha precisato Ionta – è impensabile commettere un atto così drammatico”.

La prassi della violenza. Nel carcere di Livorno sono già morti ben 17 detenuti dal 2003 (di cui ben tre solo nel 2011) e diversi tra questi decessi si sono verificati in circostanze a dir poco misteriose. Ma, al di là dei numeri, è la vita che si è costretti a fare a Le Sughere. Dove, stando alle testimonianze di detenuti e agenti di polizia penitenziaria, non si mette in atto nessun processo di rieducazione, ma dove al contrario la violenza sembra sia la prassi.

La testimonianza. Né è stato testimone Mario, 43 anni, che ha vissuto la detenzione nel carcere di Livorno e che, nel corso di una puntata di Radiocarcere su Radio Radicale 1, ha raccontato la sua terribile esperienza. Ovvero anni passati in piccole celle, dove le persone detenute vengono ammassati in 6 o in 7, costretti a vivere 22 ore al giorno uno sopra l’altro.
Ma Mario racconta anche altro, che ha a che fare soprattutto con la violenza. “Nel carcere di Livorno” – racconta – “ne succedono di tutti i colori, ma nessuno ne parla. Nelle celle vivevamo come animali, ma guai a lamentarci, guai a chiedere anche una semplice medicina”.

“Nella cella liscia”. “Alle guardie non si può chiedere nulla. Questa è la regola per sopravvivere nel carcere di Livorno, oppure si rischia la cella liscia, la cella di isolamento. Ci sono stato nella cella liscia – prosegue Mario – era inverno, ma mi hanno lasciato lì in mutante. Dormivo su un materasso buttato a terra e senza neanche una coperta. Nudo, rannicchiato su quel materasso non sapevo più dove ero e cosa ero. Una notte, siccome urlavo per la disperazione, sono entrati e mi hanno picchiato. Erano 6 o 7 guardie, con guanti e con gli scarponi che in cima hanno il ferro. E quelli fanno un po’ male. M’ hanno spaccato la faccia”.

E non è un caso isolato.
Quello di Mario è un caso eccezionale? “No non lo è stato – ha aggiunto il detenuto al microfono di Radiocarcere – non ero il solo a Livorno a subire questo trattamento. Ho visto tanti detenuti presi e portati via. Quando tornavano in cella avevano i lividi addosso, spaccati in faccia e gli occhi pesti. Dentro quelle mura sono cose normali”.
Botte e degrado, dunque, sono la normalità a Le Sughere, a quanto pare.

Un po’ di numeri di “Ristretti Orizzonti 2“. Al Le Sughere i detenuti sono circa 450 e 17 morti negli ultimi 8 anni, per un carcere di medie dimensioni, rappresentano un dato eccezionalmente grave. In altre carceri con un numero di detenuti compreso tra 400 e 500 nello stesso periodo i decessi sono stati molti di meno: Agrigento 3, Alessandria 4, Ancona Montacuto 5, Avellino 4, Busto Arsizio 5, San Gimignano 1, Trapani 1, Vibo Valentia 4, Vigevano 2. A Livorno si è registrato anche il caso particolarmente controverso di Marcello Lonzi, ritrovato cadavere in cella l’11 luglio 2003 (il corpo coperto di lividi), che è stato oggetto di una lunghissima inchiesta giudiziaria conclusasi recentemente con l’archiviazione: morto per “aritmia maligna”

Fonte: Repubblica

 


Asti, a processo cinque agenti.Gli uomini della polizia penitenziaria accusati di vessazioni contro due prigionieri

MILANO – Cinque agenti della polizia penitenziaria, in servizio nella casa circondariale di Asti, sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di aver picchiato e sottoposto a vessazioni due detenuti: entrambi sono stati lasciati per alcuni giorni, in isolamento, completamente nudi in una cella priva di vetri alla finestra, di materasso, di lavandino e di sedie; per vitto è stato fornito loro solo pane ed acqua. Ai due, inoltre – secondo l’ accusa – veniva impedito di dormire. Il processo contro i cinque agenti penitenziari comincerà il 27 ottobre ad Asti. (Fonte Ansa)

I RACCONTI DEI DETENUTI – A denunciare gli agenti sono stati Claudio Renne e Andrea Cirino. Il primo – si legge negli atti dell’inchiesta – fu portato nel 2004 in una cella di isolamento, come punizione per aver cercato di placare un diverbio tra un agente e un altro detenuto. Secondo Renne, la cella è priva di materasso, sgabelli e acqua; la finestra priva di vetri. Il detenuto racconta di essere rimasto nella cella per due mesi, i primi due giorni completamente nudo. Il cibo, racconta, è limitato a pane e acqua, ma a volte gli agenti gli lasciano dietro la porta della cella il vitto del carcere che lui può vedere ma non prendere. Le botte si ripetono più volte al giorno, calci e pugni su tutto il corpo, tanto che gli sarà riscontrata la frattura di una costola oltre ad una grossa bruciatura sul volto causata da un ferro rovente. Tra il dicembre 2004 e il febbraio 2005 anche Andrea Cirino viene tenuto in isolamento, per 20 giorni. La notte, racconta, gli agenti gli impediscono di dormire battendo le grate della cella, il giorno viene picchiato ripetutamente, gli viene negata l’acqua. Cirino, in seguito, tenterà il suicidio per impiccagione.

LE INTERCETTAZIONI – «Dalle intercettazioni e dalla relazione di polizia giudiziaria emergono particolari inquietanti», afferma Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che ha chiesto di costituirsi parte civile al processo. «Nel carcere di Asti – aggiunge – vigeva una cultura diffusa di violenza da parte dei poliziotti e di indifferenza da parte di medici e direttore». Un assistente di polizia penitenziaria dello stesso carcere nel 2006 testimonia: «Nel caso in cui i detenuti risultino avere segni esterni delle lesioni, spesso i medici di turno evitano di refertarli e mandano via il detenuto dicendogli che non si è fatto niente o comunque chissà come si è procurato le lesioni. Inoltre lo convincono a non fare la denuncia dicendogli che poi vengono portati in isolamento e picchiati nuovamente». In una intercettazione ambientale tra uno degli imputati e un altro agente del carcere, il primo afferma: «Ma che uomo sei… devi avere pure le palle… lo devi picchiare… lo becchi da solo e lo picchi… io la maggior parte di quelli che ho picchiato li ho picchiati da solo…».

IL SINDACATO – «Personalmente non ci credo». Donato Capece, segretario del maggiore sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe, prima di dire la sua sul rinvio degli agenti, chiede delucidazioni al rappresentante sindacale locale. I due detenuti che hanno denunciato di aver subito vessazioni tra il 2004 e il 2005 «avevano aggredito i nostri agenti – riferisce Capece – e per questo sono stati mandati in isolamento. Probabilmente c’è stata una colluttazione». Capece precisa comunque: «Non vogliamo dare l’impressione di coprire qualcuno. Perciò, se gli agenti hanno usato le maniere forti, è giusto che ne rispondano all’autorità giudiziaria. È facile sparare contro la Croce Rossa e contro la polizia penitenziaria. I fatti – conclude – vanno prima accertati». (Fonte Ansa).


Cena anticarceraria

Venerdì 7 ottobre cena anticarceraria autofinanziamento per CordaTesa

Dalle 20 buffet vegan, proiezioni e dibattiti sul carcere

A seguire concerto Johnnie Selfish & the Worried Men Band

Mostra fotografica Casa Mandamentale di Desio di Andrea Segliani e Marco Malipensa

 

ArciBlob  Via Casati, 31  Arcore (MB)

Partecipate numerosi.


Maltempo, Sappe denuncia: “Celle allagate nel carcere di Monza”

Monza, 18 settembre 2011 – Sono già sette le celle inagibili nella sezione alta sicurezza del carcere di Monza, a causa delle forti piogge,iniziate sabato sera, e la situazione potrebbe peggiorare: la denuncia è del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, che parla di “pesanti danni per l’acquazzone notturno’’ e chiede interventi urgenti ‘’dal punto di vista edile e strutturale’’.

In pratica, dicono, per la pioggia ‘’la sezione detentiva Alta Sicurezza è  parzialmente allagata’’. E si tratta di una sezione con cinquanta celle, spiega il sindacato, e una capienza regolamentare di 100 detenuti, ma che ne accoglie invece 120.   Il segretario generale del Sappe Donato Capece sottolinea: ‘’Il problema non è nuovo. La struttura è ormai al collasso e il personale di Polizia penitenziaria è ormai stanco di sopperire quotidianamente alle problematiche di un sistema penitenziario che fa acqua nel vero senso della parola da tutte le parti: basti pensare alla presenza effettiva di quasi 900 detenuti rispetto ai circa 400 posti letto regolamentari’’.

A questi problemi si aggiunge il fatto che i circa 350 poliziotti in forza, ‘’a fronte di una carenza cronica del personale e alle varie criticita’ del sistema penitenziario ormai sull’orlo del declino, sono costretti a saltare il giorno di riposo settimanale’’.

Da Il giorno Monza e Brianza


Di carcere si muore

Lo scorso 16 luglio Redouane Messaoudi è morto nel carcere di Monza. E’ già il secondo detenuto che muore quest’anno nel carcere della nostra città in condizioni da accertare, ma nessuno – né mezzi di comunicazione, né opinione pubblica locali – ne parla.

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Critica del carcere

1
In questa società la Legge svolge molteplici funzioni: regola e indirizza il rapporto di sfruttamento su cui si basa garantendone il mantenimento; ordina le relazioni sociali e assegna a ciascuno un ruolo in funzione dei propri interessi; costituisce la principale mediazione tra tutti gli individui isolandoli gli uni dagli altri nel mentre li riunisce in rapporti giuridici.
La Legge si esercita per il tramite della violenza, senza la quale è lettera morta. La reclusione è una parte importante di questa violenza.
Il carcere nasce con la Rivoluzione Industriale per formare dei lavoratori disciplinati e addomesticarli alle rigide esigenze spazio-temporali della macchina. Oggi è una delle tante strutture del controllo sociale e assolve diversi scopi: punire chi delinque per isolarlo dalla società; riabilitare, almeno formalmente, alcuni elementi e restituirli ad una regolata vita sociale; agitare lo spettro dell’esclusione per gli onesti cittadini, lavoratori e consumatori.
Il Diritto è fondato su un criterio di utilità economica e sociale, prodotto del dominio e strumento della sua difesa. La pena è, infatti, commisurata all’entità del danno economico e al grado di rifiuto dell’ordinamento sociale. Continue reading

Torna a salire il numero dei detenuti, dopo calo Ferragosto

“Dopo la diminuzione di presenze di Ferragosto, nelle carceri italiane è ripresa la crescita della popolazione detenuta con un media di 40 ingressi in più al giorno”. A sottolineare ancora una volta la drammatica situazione delle carceri italiane è l’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria.

“Osservando i dati delle presenze del 19 agosto (66.605) del 21 agosto (66.660) al 22 agosto (66.754) – osserva il segretario generale, Leo Beneduci – quella che emergerebbe è anche la cessazione degli effetti deflattivi provocati dalla legge sulle detenzioni domiciliari, con 12 mesi di pena residua e della decadenza del reato di immigrazione clandestina.
Comunque, 66.754 detenuti in carcere, alla data di ieri 22 agosto, rappresentano il 46,3% in più rispetto ai posti disponibili (45.647) anche se la capienza detentiva massima tollerabile è fissata, secondo il Dap, a 69.126 detenutì.
“Peraltro, anche la capienza massima, cosiddetta ‘tollerabilè, che dovrebbe rappresentare il limite invalicabile del sistema penitenziario – indica ancora l’Osapp – è stata superata in 7 regioni su 20 e in particolare: in Puglia (+582 detenuti), in Lombardia (+287), in Veneto (+178), nelle Marche (+135), in Liguria (+79), in Friuli (+62) e in Emilia Romagna (+20)”. Continue reading


Altra testimonianza dal carcere di San Quirico

Di seguito una testimonianza che ci è stata spedita da un ex detenuto del carcere monzese.

15/6/2009 a 3 ore dal fischio d’inizio della partita di confederation cup Italia-Usa un paio di manette si chiudono sui miei polsi. Per i carabinieri della caserma di via Volturno fu più semplice arrestarmi che trovare un loro collega disposto a tradurmi in carcere, rischiando così di perdersi il primo tempo della partita. Poverini, come si lamentavano loro mentre a me veniva tolta la libertà!

Nel momento in cui si aprirono per me i cancelli di S.Quirico sentii un commento dei due militari che non compresi subito. Il graduato disse: “Ascolta un po’?!” e l’appuntato: “Cosa tenente? Io non sento nulla!”

Appunto! Nessuno si è accorto del nostro arrivo…stanno guardando tutti la partita ‘sti fetentoni!”

Ma con un leggero ritardo ecco esplodere dalle finestre delle celle una cascata di insulti rivolti alla volante! Un rituale che si ripete ogniqualvolta le nostre beneamate forze dell’ordine varcano quel cancello con un nuovo inquilino a bordo! Cazzo sarà incredibile ma quella scarica di insulti mi fece sorridere e un accenno di buon umore si fece largo dentro di me nonostante la mia situazione non fosse proprio rosea.

Nei giorni a seguire capii di non essere del tutto scemo e compresi la natura di quel sorriso e la vera potenza di quelle grida: tutti là dentro hanno almeno 2paroline d’affetto da gridare ai canazzi e la potenza aggregante di tale rito prevarica i particolarismi etnici e criminogeni.

Che tu sia italiano o straniero, mafioso o cane sciolto, colpevole o innocente, ti fondi con la totalità della popolazione carceraria di tutto il mondo in un unico grido di rabbia e odio verso un potere arbitrario e repressivo! Quel grido ti fa capire come tu non sia nè solo, nè fuori luogo, ti palesa che un minimo comune denominatore unisce tutte le persone dentro quelle mura: sbirri infami! Siamo noi e loro, ed è proprio guardando “loro” che capisci di far parte di un “noi”.

Per amor del vero devo dire che tirando le somme col senno di poi, guardandomi indietro e vedendomi ora, non posso negare che tutta quest’esperienza mi sia stata utilissima. Dopo 5mesi di presofferto equidistribuiti tra carcere e domiciliari ho chiesto l’affidamento in comunità. Oggi ho scontato la mia pena, ho riottenuto la patente italiana, ho ripreso gli studi e ho concluso un periodo di devianza criminale e patologia tossicomanica che stava incominciando a trasformarmi in un soggetto estremamente marginale.

Detto questo però non si può proprio giungere alla conclusione che il carcere possa “anche fare bene”. Forse si potrebbe discutere sulla funzionalità dell’arresto, inteso come il fermare\arsi qualcosa o qualcuno.

Se vi ho trovato alcuni elementi utili per la mia esistenza nell’obbligo di fermarmi, nel prendermi una pausa di riflessione coatta dalla frenesia di un sistema che mi ha portato a delinquere sempre e comunque, questo non si può dire della carcerazione in sè come totale privazione della libertà e nel carcere di S.Quirico come luogo di reclusione(sovraffollato e fatiscente), fondamentalmente punitivo.

In carcere e carcerazione non sono riuscito a intravedere nessun altro scopo se non il dividere le persone devianti da quelle “sane”, inchiodare ai margini i marginali. Una politica carceraria miope perfettamente in sintonia con tutta una classe dirigente ormai da decenni inadeguata e indegna.

Sono io che ho aiutato me stesso facendo di necessità virtù. Se fosse stato per il lungo braccio della legge ci sarebbero state serie possibilità di uscirne ancora più marginale e deviante. Ho visto per esempio il mio concellino(stupido come una capra ma sano di mente) annullarsi per 2mesi a suon di psicofarmaci (là dentro distribuiti con la pala) mentre un ragazzo tunisino con serissimi e palesi problemi psichiatrici veniva lasciato senza alcun tipo di assistenza medica.

L’idea più nitida che mi son fatto del carcere cittadino è che è una accozzaglia di esseri umani abbandonati a se stessi(e parlo anche delle guardie), senza nessuna logica nè motivazione, in balia di un tempo che passa solo perchè deve passare e aspettando con pesante inerzia prima o poi giungerà il fine-pena (o la pensione).

3 persone in celle da 2 e in osservazione è anche peggio, là materassi x terra senza brandina sono la normalità. L’unico oggetto ricreativo è un mazzo di carte(ovviamente comprato a proprie spese) e la TV(gentilmente offerta dalla casa se non si rompe, se no te la devi aggiustare a tue spese anche se quando sei entrato in cella era già rotta! La nostra era rotta e rotta è rimasta)

Il campo da calcio a 11 in erba viene costantemente curato e tosato ma mai utilizzato(eccetto per le partite di torneo) e il campo da calcetto per poterlo usare(1giorno a sezione bisettimanalmente) bisogna essere massimo in 25persone, fin troppo facile quindi per i secondini negarti l’ora di gioco con la scusa dell’esubero. Come se trovare un metodo per mettersi d’accordo su chi debba giocare fosse un algoritmo irrisolvibile!! Cazzo oggi giocano i primi 25 contando dalla cella 1 alla 25 e settimana prossima si conterà dalla 25 alla 1, non mi sembra ci voglia una scienza! In quei mesi non ho mai visto il pallone, ne tantomeno nessun altro tipo di attrezzatura sportiva!

Il loro unico strumento di rieducazione è la “squadretta” di picchiatori scelti o la minaccia del suo intervento. Tra l’altro anche a livello teorico cosa vuol dire “rieducazione”? Che in quella ricevuta dai propri genitori qualcosa è andato storto e ora bisogna aggiustarlo, modificandoci violentemente il comportamento? Ma come ci si può evolvere quando a disposizione si hanno solo carte e TV? In che consisteranno mai le 150€ al giorno che lo stato spende per ogni detenuto?

Nonostante a mia madre respingessero la quasi totalità di cibi che mi portava, spinti dalla sola logica del profitto, grazie alla loro regola interna di non permettere l’ingresso di cibi o oggetti già “offerti” nel loro spesino-truffa, nonostante mi negassero l’unico “agio” derivante dall’essere un monzese arrestato a Monza, ovvero poter usufruire a pieno del supporto della mia rete familiare ed amicale agevolate dalla vicinanza territoriale del penitenziario, nonostante ingrassassi con i miei soldi-sporchi le loro casse-infami, nonostante abbia speso 500€ in 75giorni, sono cosciente che tra non molto tempo mi arriverà il conto da pagare delle “spese” d’albergo!!! Ma quali spese??!! Io per loro ho rappresentato solo guadagni!!

In altri paesi d’Europa, perfino in Spagna(che i nostri Tg dipingono come meno ricca)dove ho un mio buon amico che ha finalmente ottenuto la semi-libertà, dopo un periodo di reclusione è lo stato a ripagarti con un sussidio di carcerazione(simile a quello di disoccupazione) per offrirti il tempo e la possibilità di rimetterti in carreggiata e ingranare con casa e lavoro.

Pur essendo un convinto sostenitore dell’abolizionismo, devo ammettere che sia lampante dopo aver visto S.Quirico da dentro che la partita sulle politiche carcerarie non si gioca su un’amnistia o su qualche indulto. Fondamentale importanza hanno le varietà di modi in cui si potrebbe passare il periodo di pena e soprattutto quel che ne segue, per permettere a qualunque prigioniero in qualunque periodo di poter avere il diritto di non dover mettere in pausa la sua esistenza, aspettando il finepena per poter rimetterla in play. La vita dentro deve poter continuare perchè non è fatta di soli cibo e aria. Impedirne delle sue parti essenziali quali sogni, aspirazioni e interessi, vuol dire togliere dei pezzi di vita..vuol dire uccidere a metà!


Furgone detenuti va a fuoco, panico al Parco

«È SUCCESSO tutto in pochi
istanti.Aun certo punto abbiamo
visto del fumo uscire dal cofano,
in un attimo l’abitacolo e pure la
cella nel retro del furgone si sono
riempiti di fumo. Ci siamo subito
fermati, abbiamo fatto scendere
anche i due detenuti che stavamo
accompagnado in ospedale e con
gli estintori abbiamo spento il
principio d’incendio nella zona
sotto al motore». Paura? «Macché,
ormai siamo abituati ad affrontare
gli imprevisti», taglia corto
uno degli agenti che ieri mattina
era sul Ducato blindato che ha
preso fuoco.
Erano circa le 8.30 quando il fumo
ha iniziato a uscire e invadere
l’interno del mezzo. «Eravamo
sul viale Cavriga, in direzione
dell’ospedale San Gerardo – racconta
l’agente -. Immediatamente
ci siamo accostati e abbiamo atteso
una ventina di minuti, giusto il
tempo che un altro mezzo venisse
a prenderci dal carcere». Nel frattempo,
i sei agenti hanno sorvegliato
a vista i due detenuti, fra
cui uno del circuito dell’Alta sicurezza,
sul ciglio della strada. «Questa
volta è andata bene, nessuno è
rimasto ferito ma dobbiamo aspettare
che muoia un detenuto o un
agente perché qualcuno inizi a risolvere
una situazione che continua
a peggiorare? – polemizzaAngelo
Urso, segretario nazionale
della Uil penitenziari -. Sono anni
che denunciamo le disastrose
condizioni in cui versano i mezzi
della polizia penitenziaria, e questo
episodio è il risultato delle risposte
che abbiamo ricevuto
dall’Amministrazione penitenziaria.
Nulla è stato fatto». «Ogni volta
che ci si mette in macchina incrociamo
le dita sperando che tutto
fili liscio – continua Domenico
Benemia, segretario regionale del
sindacato della polizia penitenziaria
-. Al carcere di Monza come
negli altri istituti della Lombardia,
la situazione è desolante. A
farne le spese è soprattutto il Nucleo
traduzioni e piantonamenti,
ovvero quegli agenti che accompagnano
i detenuti ai processi, anche
fuori regione, e a visite ed esami
negli ospedali».
ALCUNI MEZZI immatricolati
negli anni Ottanta sono ancora in
servizio, «sono più le volte che sono
fermi in officina per riparazioni
che costano migliaia di euro, di
quelle in cui sono regolarmente
circolanti – rimarca Benemia -. E
meno male che quest’anno il grande
caldo estivo non è ancora arrivato:
siamo costretti a viaggiare
senza aria condizionata perché
non funziona. Senza dimenticare
che numericamente non sono abbastanza
proprio come le auto
blindate. Siamo costretti a dividerci
i mezzi con gli altri istituti
della Lombardia.
UN PARCO macchine
«disastrato» e un carcere
«al collasso». Dove il
sovraffollamento è ormai
diventata la normalità. «A
fronte di una capienza
regolamentare di 405
detenuti, oggi di reclusi ne
abbiamo 817, di cui 102
donne e addirittura 120 del
circuito Alta sicurezza, che
evidentemente richiedono
impegno e attenzioni
maggiori – fa i conti il
segretario regionale della
Uil penitenziari,
Domenico Benemia -. E
nonostante il
sovraffollamento, il
carcere non ha i soldi per
ristrutturare quattro celle
inagibili, e quindi
inutilizzabili, perché piove
dentro. Poi, però, a livello
centrale vengono a
raccontarci che vogliono
fare nuove carceri: ma con
quali soldi?». E quando
non si riesce a rispondere
con i letti a castello, in
carcere «le camere di
sicurezza del reparto
matricola, dove gli
arrestati dovrebbero
rimanere solo qualche ora
giusto per smaltire le
pratiche di ingresso,
vengono utilizzate come
vere e proprie celle, con i
reclusi che vi rimangono
finché non si libera
qualche posto all’interno
del detentivo vero e
proprio». I detenuti sono
ammassati nelle celle e «il
rischio che le condizioni di
convivenza peggiorino è
sicuramente concreto».
Per non parlare del
problema dell’acqua ogni
estate: «L’impianto non è
tarato per garantire una
corretta erogazione a un
così alto numero di
persone». E poi la cronica
carenza di agenti.
Attualmente in via
Sanquirico sono in servizio
350 agenti ma sulla carta
dovrebbero essere almeno
una sessantina in più. Dei
poliziotti al lavoro, 38
appartengono al Nucleo
traduzioni e
piantonamenti, ma «con il
sovraffollamento l’attività
richiede quotidianamente
che un’altra ventina di
agenti vengano sottratti al
servizio interno – denuncia
Benemia -. E quando il
“prestito” non si riesce a
fare, si esce sotto scorta. A
nostro rischio e pericolo».

Da Il Giorno Monza e Brizna, 27/07/2011

 


Detenuto di 37 anni muore nel carcere di Monza

Una persona da me assistita che si trovava nel carcere di Monza in custodia cautelare, il sig. Redouane Messaoudi, nato nel 1974 in Algeria, è stato trovato privo di vita la mattina di sabato 16 luglio. Ieri mattina è stata effettuata l’autopsia (alla quale peraltro non ho potuto partecipare né direttamente né tramite medicolegale non avendo titolo perché non sono riuscito a contattare l’unico familiare con cui avevo parlato, un fratello che vive in Grecia).
Il sig. Messaoudi era in quel momento nel reparto di psichiatria del carcere. Affetto da diabete insulinodipendente, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline, dopo un periodo di osservazione nell’Opg di Reggio Emilia era rientrato nel normale circuito penitenziario. Prima di andare a Monza, dove si trovava da circa due settimane, era stato a Voghera, Era stato arrestato ad aprile per un’ipotesi di cessione di stupefacenti (una dose) e resistenza.
L’udienza preliminare, già fissata dieci giorni fa, era stata rinviata a ieri data l’impossibilità in quell’occasione per il sig. Messaoudi a comparire (era in ospedale e i medici non avevano dato nulla osta). Ieri era previsto che il giudice incaricasse uno psichiatra di svolgere perizia. Nella comunicazione del carcere sulla possibile causa del decesso si fa riferimento al reiterato rifiuto del sig. Messaoudi di assumere l’insulina. Per somministrargliela forzatamente era stato ricoverato in ospedale in due occasioni. Il giorno precedente al decesso non gli sarebbe stata somministrata per due volte l’insulina perché rifiutata.

Davide Mosso (Avvocato)

Fonte: Ristretti Orizzonti

Si tratta del secondo decesso avvenuto nel carcere di Monza. L’altro è stato il 30 gennaio di quest’anno, sempre per cause da accertare.

Aveva trentacinque anni il detenuto di nazionalità marocchina deceduto due settimane fa all’ospedale “San Gerardo” in circostanze ancora tutte da chiarire. Da circa sette mesi recluso nella casa circondariale di Monza, il giovane era stato ricoverato d’urgenza per tre volte in ospedale nell’ultimo mese, l’ultima solo due settimane fa. In tutti e tre i casi la diagnosi, stando a quanto riferito dal direttore del carcere cittadino Massimo Parisi, sarebbe stata encefalite. “I medici mi hanno assicurato che non si tratta di una patologia contagiosa, che possa mettere a repentaglio la salute della popolazione carceraria entrata in contatto con il detenuto deceduto”, ha precisato il direttore.
Riscontri diagnostici – Per spiegare le ragioni ancora poco chiare del decesso, il nosocomio cittadino ha predisposto un riscontro diagnostico approfondito. “Sarà necessario attendere almeno quaranta giorni per avere i risultati delle indagini – ha confermato Laura Radice, direttore sanitario del presidio ospedaliero “San Gerardo”. Una pratica voluta dall’ospedale proprio per fare chiarezza”.
Il ragazzo, a quanto riferisce la direzione sanitaria, è stato ricoverato al “San Gerardo” il 20 gennaio ed è morto due giorni dopo. “Non c’è stato quasi il tempo necessario per poter procedere con delle indagini più approfondite – spiega ancora il direttore sanitario -. Il quadro clinico del paziente è peggiorato rapidamente fino al decesso avvenuto solo due giorni dopo l’arrivo in pronto soccorso e il ricovero in terapia intensiva”.
Versioni divergenti – Una situazione, quindi, ancora da chiarire. La direzione sanitaria dell’ospedale cittadino infatti conferma un solo ricovero del detenuto marocchino. “Da noi è arrivato il 20 gennaio. Non ci risultano altri ricoveri”, afferma Radice. Tre, invece, sarebbero i trasporti in ospedale di cui parla il direttore del carcere Parisi, che conferma: “L’intervento dei sanitari del “San Gerardo” che operano all’interno del carcere è stato tempestivo tutte le volte, e il fatto che il detenuto sia stato condotto in pronto soccorso per ben tre volte in un mese evidenzia l’accuratezza del servizio.
Ogni volta poi il ragazzo veniva dimesso perché i parametri rientravano nella norma”. Incongruenze si riscontrano comunque anche per quanto riguarda l’età del paziente: 35 anni secondo quanto riferito dalla direzione del carcere, 30 per i sanitari del “San Gerardo”. Bisognerà quindi attendere almeno un mese per poter davvero far chiarezza sull’intera vicenda, capire cosa sia successo al detenuto e scoprire cosa lo abbia condotto alla morte.

Fonte: Ristretti Orizzonti


Giustizia: “sopravvitto” troppo caro; il Dap avvia un’indagine sulla gestione degli appalti

Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta: “I prezzi non possono essere superiori a quelli fuori”. Dopo la segnalazione di Ristretti Orizzonti e l’intervento dei Radicali, in particolare di Rita Bernardini, il Capo del Dap, Franco Ionta, annuncia “una indagine approfondita e una valutazione attenta sui costi del sopravvitto”.
Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ha avviato un’indagine relativa ai costi del sopravvitto, per verificare che i prezzi siano adeguati alle norme e in linea con quelli che si trovano fuori dal carcere. Lo ha annunciato Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, a margine di un incontro con le realtà attive in carcere. I costi non possono in alcun modo essere superiori a quelli che il detenuto sosterrebbe se stesse fuori dal carcere – ha spiegato il capo dipartimento. Vogliamo vedere se le ditte che hanno vinto gli appalti poi rispettano le disposizioni”.
La notizia dell’indagine è stata accolta con entusiasmo da Ristretti Orizzonti. Quella del sopravvitto troppo caro, infatti, è una questione che da tempo sta a cuore all’associazione padovana. Nei mesi scorsi l’impegno su questo fronte è sfociato anche in un’astensione dalla spesa da parte dei detenuti della casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Il problema, inoltre, è stato al centro di un’inchiesta dal titolo “Fare la spesa in carcere: paghi tre, prendi due”.
Alla luce delle dichiarazioni di Ionta, Ristretti chiede che “i risultati di questa indagine siano presto resi pubblici e che se ne traggano anche delle conseguenze rapide”. La prima richiesta è di rimuovere la “dittatura del prodotto unico”, che non consente di scegliere tra prodotti più economici, come in qualsiasi supermercato.


Opg a rischio chiusura

Dopo il sequestro di alcune sezioni nei due ospedali, la Commissione d’inchiesta intima di adeguare le parti non sequestrate entro sei mesi, pena la confisca. Adesso rischiano anche gli altri 4 Opg. Napolitano: “Estremo orrore”.
Opg di Montelupo (Fi) e di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) a rischio sequestro. È quanto ha annunciato Ignazio Marino, presidente della Commissione nazionale di inchiesta sul servizio sanitario, all’indomani del sequestro di alcune sezioni dei due ospedali da parte dei carabinieri Nas a causa delle inadeguate condizioni igieniche e assistenziali.
Il senatore Pd chiede “l’adeguamento delle intere strutture, quindi anche delle parti non sequestrate, ai requisiti minimi previsti dalle leggi nazionali e regionali entro 180 giorni. Trascorso questo tempo – si legge nella nota di Marino – la Commissione si riserva di procedere al sequestro dell’intero ospedale psichiatrico giudiziario”. In sostanza, se entro sei mesi le strutture non saranno adeguate all’accoglienza dei malati psichiatrici, rischiano la confisca. Un’eventualità che potrebbe far scatenare un vero e proprio effetto domino sugli altri quattro Opg italiani, dove permangono situazioni di estrema criticità.
In materia di Opg si è pronunciato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo cui “i residui ospedali psichiatrici giudiziari” denotano una situazione di “estremo orrore, inconcepibile in qualsiasi paese appena civile”. Si tratta, dice il presidente della Repubblica partecipando a un seminario sulla giustizia organizzato dai Radicali, di “strutture pseudo ospedaliere che solo recenti coraggiose iniziative bipartisan di una commissione parlamentare stanno finalmente mettendo in mora”.
Sull’argomento, l’associazione Antigone invita il nuovo ministro della giustizia, Nitto Palma, a prendere una posizione ufficiale: “Spero che il ministro – dice il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella – prenda in mano la situazione e dica esplicitamente che queste strutture vanno ripensate e territorializzate attraverso trattamenti psichiatrici uguali a quelli ospedalieri”.
Da più parti arriva un appello alla chiusura definitiva e indiscriminata di tutti gli Opg italiani. “Il sequestro delle sezioni degli Opg di Montelupo e di Messina – auspica la radicale Donatella Poretti – è un passo fattivo, finalmente, verso la loro definitiva chiusura”. “Non bisogna fermarsi ai casi più clamorosi – incalza il comitato No Opg.
Bisogna andare fino in fondo e abolire definitivamente gli Opg, aprendo la strada a progetti di assistenza individuali, che privilegiano il territorio, le strutture leggere e il più possibile personalizzate” utilizzando “trattamenti sanitari che, come affermano due sentenze della Corte Costituzionale e le norme sul superamento degli Opg, siano alternativi al ricovero e all’internamento e si svolgano nel territorio di residenza”.
Montelupo: sigilli Nas a carcere psichiatrico, mancano requisiti igienici e assistenziali
Celle senza le condizioni igienico sanitarie minime, padiglioni senza le dovute caratteristiche assistenziali e questa volta i Nas mettono i sigilli a una struttura comunque riconducibile allo Stato come un ospedale psichiatrico giudiziario.
Due ali dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino sono state sequestrate oggi pomeriggio e i pazienti detenuti che le occupavano sono stati trasferiti in un’altra parte della struttura. I sigilli, apposti dal Nas di Firenze, è avvenuta in esecuzione di un decreto di sequestro amministrativo firmato ieri dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino. Il provvedimento sarebbe stato deciso perché nell’Opg mancherebbero le condizioni igienico-sanitarie, clinico-assistenziali e strutturali e quindi sarebbe leso il diritto fondamentale alla salute. In particolare, i sigilli sono stati messi al padiglione pesa, sala contenzione, e alla sezione ambrogiana dove ci sono 21 celle.


Giustizia: carceri addio, il delitto punito con l’abolizionismo

Il Manifesto, 7 luglio 2011

 

“L’amnistia? È lo Stato che nega se stesso. Meglio trattare il crimine e la pena con sedute di risoluzione dei conflitti. Oppure, come in Danimarca, con le prigioni a numero chiuso”
L’amnistia per svuotare le carceri e far tornare il sistema penale italiano alla legalità, come chiedono i Radicali Italiani?

Se la domanda la poniamo a in sociologo del calibro di Vincenzi Ruggiero, docente presso la Middlesk University di Londra che ha appena pubblicato per le edizioni del Gruppo Abele un saggio sulla contro idea abolizionista: “Il delitto, la legge, la pena”, pp. 271, euro 16), lui risponde con un’altra proposta: “L’amnistia è lo Stato che nega se stesso: dopo aver negato la sua possibilità di ristabilire i principi per i quali detiene le persone, abdica a governare il carcere e quindi lo svuota.
Allora tanto vale essere onesti e fare come in Olanda, Svezia o Norvegia, dove fino a qualche anno fa c’era il numero chiuso per il carcere, in modo da assicurare legalità della detenzione, nel rispetti degli standard minimi stabiliti. E i detenuti in eccedenza si inscrivevano a una lista d’attesa. Se poi nel frattempo, cambiavano vita, il carcere diventava inutile”.
Ecco, fa questo esempio e capiamo subito meglio cosa si intende per “abolizionismo”. Ma poi, quasi con humor inglese, fa notare che in Italia potrebbe ritrovarsi degli “alleati piuttosto imbarazzati”, visto che siamo il Paese dall’éte più abolizionista del mondo, quella che ha abolito il carcere ma sto per se stessa, che vuole abolire la Costituzione e la magistratura a proprio vantaggio, che vuole eliminare la prostituzione ma solo per gli altri, che è contro l’intervento assistenziale dello Stato ma solo per i più svantaggiati mentre si prende tutti vantaggi che può dallo Stato”.
Perché ha sentito la necessità di tornare proprio adesso sulla tesi abolizionista?
Perché gli indici, di carcerazione salgono in tutto il mondo, nonostante il numero dei reati sia stabile o in diminuzione. Vuol dire allora che la società è diventata più intollerante oppure che i problemi sociali si affrontano oggi solo col carcere. Addirittura direi che viene punita la povertà. Dunque, mi sono convinto a dimostrare che nonostante l’abolizionismo suoni come un’idea provocatoria, utopistica, estrema, in realtà è radicata nella tradizione filosofica, religiosa e sociologica occidentale. Un pioniere dell’abolizionismo, come Louk Hulsman, si ispira alle sacre scritture cristiane, mentre un altro come Thomas Mathiesen si ispirerà pure al marxismo, corrente di pensiero egemone nell’800 e anche dopo, ma con forme critiche e libertarie. Infine Nils Christie, l’altro grande autore dall’approccio abolizionista, si ispira a idee anarchiche libertarie dell’800 completamente compatibili col pensiero critico contemporaneo.
In poche parole, cos’è l’abolizionismo?
Non è un programma immediato di abolizione del carcere. È un modo di vedere, una prospettiva con cui affrontare il crimine, le leggi e la pena, tentando di trovare, ove possibile, forme indipendenti di risoluzione dei conflitti. Non è una follia, si tratta di misure molto usate in Australia, in Francia, in Germania e anche a Milano, nel tribunale per minori. E perfino in Inghilterra, dove c’è un tasso di carcerazione maggiore che in Italia ma c’è anche una grande varietà di forme restrittive, diventate necessarie perché il sistema giudiziario ha allargato il raggio di comportamenti ritenuti sanzionabili.
In sostanza, se si guarda al crimine in un’altra ottica si trovano forme di trattamento alternative al carcere, è così?
Sì. Come avviene nelle sedute di arbitrato o riconciliazione. Occorre però che ci sia la disponibilità da parte del reo e delle vittime a cercare di capire cosa è successo nell’incidente che chiamiamo crimine. E ci vogliono persone ben formate che sappiano far interagire le due partì. Può succedere a volte che i due disputanti si rendano conto di avere problemi simili, stesso retroterra sociale, addirittura interessi comuni. In altri casi ciò non avviene e il conflitto tornerà nel contesto sociale da dove è emerso.
In quale direzione va invece il nostro sistema di giustizia?
Siamo alla negazione dell’idea illuminista della risocializzazione. Stiamo tornando alla deterrenza pura. O alla vendetta. Non c’è più l’idea di riabilitazione di Cesare Beccaria che Kant ridicolizzava sostenendo che lo Stato ha il diritto di punire. Hegel addirittura, radicalizzando questo discorso, sosteneva che è lo stesso reo ad avere diritto di essere punito, di essere riconosciuto nella sua individualità e non come mezzo sociale. Stiamo tornando a questa idea di pena come retribuzione. Durkeim dice che nella punizione c’è sempre un elemento di vendetta, e la pena non serve al detenuto ma a noi perché attraverso la punizione rafforziamo la nostra idea di legalità e di comunità coesa.
Lei parla di deterrenza, ma l’attuale governo italiano rivendica esattamente questa funzione del carcere, come ha spiegato solo qualche giorno fa il sottosegretario Giovanardi riguardo alla legge sulle droghe.
Non c’è alcuna prova che l’effetto deterrente funzioni. Nei paesi dove è applicata la pena di morte, per esempio, non diminuisce il numero dei reati. Il carcere invece mantiene una funzione educativa come durante la rivoluzione industriale, quando educava alla disciplina industriale. Oggi serve piuttosto ad abbassare le aspettative di chi vi è rinchiuso. Il messaggio è: “Non ti illudere, la ricchezza è lì, disponibile, ma non per te”. Così il detenuto entra in quella che viene chiamata la “porta girevole”. In questo senso è rieducativo, perché ti abitua ad accontentarti di poco e a sopravvivere nei ghetti e nelle periferie. Nel caso dei migranti, invece, è davvero è uno strumento di deterrenza. E di ricatto: “Se provi a venire qui, ecco cosa ti accade”.
Nel nostro sistema giudiziario quanto conta quella che lei definisce “la tirannia dell’opinione pubblica”?
Quella che noi chiamiamo opinione pubblica è in realtà una sommatoria di opinioni private che fanno la maggioranza. Ne parlava Tocqueville quando descrivendo il nostro modello di democrazia si preoccupava del conformismo, dell’adesione quasi totale a un pacchetto di valori e di stili di vita. Allora, a forgiare la supposta “opinione pubblica” è piuttosto una informazione deviata, una sommatoria di inganni, una congiura dell’ignoranza: c’è chi ignora la natura del crimine, chi l’effetto del carcere e chi la sofferenza della vittima.

Non ha contribuito anche, a questa congiura dell’ignoranza, quella che lei chiama la criminologia pubblica”?

Certamente. La criminologia pubblica è una nuova tendenza che fa la parte di chi si rivolge all’autorità chiedendole di essere benevolente verso i poveri disgraziati. È una criminologia dall’approccio paternalistico, da esercito della salvezza. Perché ha rinunciato a capire i mutamenti sociali e invece di interloquire con gli attori sociali coinvolti si rivolge elitariamente agli esperti e ai rappresentanti politici e istituzionali.

Quali sono secondo lei le scelte legislative che hanno contribuito alla costruzione di quella che lei chiama “zona sociale carceraria”, cioè quella zona sociale soggetta alla “porta girevole”?

È una questione di scelte legislative ma anche di sottrazione di risorse. Con le norme che aumentano la flessibilità e il precariato si è allargata l’area di economia irregolare, la quale a sua volta è adiacente all’area dell’economia totalmente illecita. Ecco allora il formarsi di una sorta di pendolarismo degli esclusi tra comportamenti leciti, semi leciti e totalmente criminali.
Quanto alla sottrazione di risorse, la filosofia che viene espressa è che se sei escluso è colpa tua, perché sei uno sconfitto. Certe leggi, poi, hanno fatto del carcere l’unica risposta ai problemi sociali, una sorta di deposito umano, come è successo con i consumatori di droghe per i quali si è scelto un atteggiamento poco tollerante e contemporaneamente si sono tagliati i servizi. Paradossalmente si può anche dire che chi va in carcere oggi può accedere a servizi che gli sono preclusi fuori.

E allora quale logica sottende – se non, certo, quella economica – a questo trasferimento di fondi dai servizi pubblici al carcere?

Un giudice britannico qualche tempo fa ha detto che il carcere è il modo più costoso di rendere le persone peggiori di quello che sono. Credo però che parlare dei costi della carcerazione non sia un’arma vincente, in un sistema economico e sociale come il nostro basato sul consumismo, sugli investimenti alla cieca, su incredibili sprechi. Io credo invece che il carcere sia usato come strumento educativo, nel senso che ho detto prima, che educa le persone cioè ad accontentarsi di nulla. Perché nulla è riservato loro.



Situazione carceraria italiana

18 luglio 2011

 

L’altro giorno il segretario della Uil-Penitenziari Eugenio Sarno ha diffuso cifre e dati che costituiscono un affresco da brivido: nelle carceri italiane sono rinchiusi qualcosa come 67mila detenuti (64.081 uomini e 2.848 donne), a fronte di una disponibilità reale di posti detentivi pari a 43.879.

Un surplus di 23.050 detenuti in più rispetto alla massima capienza, che determina un indice medio nazionale di affollamento pari al 52,5 per cento.
In ben dieci regioni italiane, il tasso di affollamento vari dal 15 per cento al 50 per cento. In nove dal 51 per cento all’80 per cento. L’unica regione italiana che non presenta una situazione di sovraffollamento è il Trentino Alto Adige. Capofila, per sovraffollamento, la Puglia (79,4 per cento), seguita da Marche (71,8 per cento), Calabria (70,6 per cento), Emilia Romagna (69,7 per cento) e Veneto (68,0 per cento).
L’istituto con il più alto tasso di affollamento si conferma quello di Lamezia Terme (186,7 per cento), seguito da Busto Arsizio (152,17 per cento), Brescia Canton Mombello (146,6 per cento), Varese (145,3 per cento) e Mistretta (143,8 per cento). Il 50 per cento (102) delle strutture penitenziaria presenta un affollamento dal 50 per cento all’80 per cento; il 35 per cento (72) un affollamento dal 2 per cento al 49 per cento.
Dal 1 gennaio al 30 giugno del 2011 si sono verificati 34 suicidi in cella. Nello stesso arco temporale in 135 istituti sono stati tentati 532 suicidi, dei quali oltre duecento sventati in extremis dal personale di polizia penitenziaria. Il maggior numero di tentati suicidi si è verificato a Cagliari (28). Seguono Firenze Sollicciano (25), Teramo (19), Roma Rebibbia, San Gimignano e Lecce con 18 tentati suicidi. In 160 istituti si sono verificati 2583 episodi di autolesionismo grave.
Il triste primato spetta a Bologna (112), a seguire Firenze Sollicciano (106), Lecce (93), Genova Marassi (77) e Teramo (66). Ad aggravare il quadro complessivo concorrono i 153 episodi di aggressioni in danno di poliziotti penitenziari, che contano 211 persone ferite. Sempre dal 1 gennaio al 30 giugno 2011 in 175 istituti si sono verificate 3392 proteste individuali (scioperi della fame, rifiuto del vitto, rifiuto della terapia). Proteste collettive (battiture, rifiuti del carrello) invece in 126 istituti.
“Questi numeri, coniugati all’imminente esaurimento dei fondi per l’ordinaria amministrazione”, dice Sarno, “testimoniano e certificano l’imminente implosione dell’intero sistema penitenziario. Nel mentre continuano a propinarci la solfa del piano carceri (fantasma) nessuno ha voluto (o potuto) rispondere ad una semplice domanda, ovvero con quale personale si intenderà attivare le nuove strutture (se e quando saranno edificate) o i padiglioni di recente edificazione. In tal senso abbiamo esempi che non possono non preoccupare: i nuovi penitenziari di Rieti e Terni sono solo parzialmente funzionanti per l’impossibilità di garantire gli organici necessari.
Basti pensare che nel 2001, con circa 43mila detenuti, la polizia penitenziaria poteva contare su circa 41.300 unità. Al 30 giugno di quest’anno con 67mila detenuti e una quindicina di istituti aperti nell’ultimo decennio, le unità di polizia penitenziaria assommavano a 37.368 (di cui 2936 impiegate in strutture non detentive). A conti fatti il reale disavanzo nella polizia penitenziaria assomma a circa 8000 unità. Quindi cresce il rammarico per la mancata assunzione straordinaria di circa 1600 unità determinata dalla manovra finanziaria.
Per quanto concerne i profili amministrativi, l’organico previsto è di 9.476 unità. Al 30 giugno 2011 le unità effettive erano 6.753. I ruoli con le maggiori scoperture risultano essere gli Educatori (- 372), gli Assistenti Sociali (- 534), i Contabili (- 308) e i Collaboratori Amministrativi (- 1033). Non crediamo servano ulteriori commenti per illustrare la devastazione che colpisce tutti gli operatori penitenziari, costretti ad operare sempre più soli ed abbandonati nelle frontiere penitenziarie”.
A questa cruda, drammatica denuncia, come rispondono il ministero della Giustizia e il Dap? Con il silenzio. L’inerzia è eretta a sistema, l’indifferenza è programmatica. Cresce, nel frattempo, la mobilitazione. Questa sera, a Bari, avrà luogo una fiaccolata silenziosa davanti al carcere di Bari “per denunziare ancora una volta il grave problema del sovraffollamento e delle condizioni di vita nelle carceri italiane”. L’ennesimo suicidio avvenuto il 27 giugno 2011 nella Casa Circondariale di Bari, il quinto in sei mesi nelle carceri pugliesi, il secondo in meno di tre mesi, dice l’avvocato Eugenio Sarno, presidente della Camera Penale del capoluogo pugliese, “costituisce l’inesorabile conseguenza delle condizioni disumane in cui vivono in Italia i detenuti, e conferma il collasso del sistema penitenziario.
Nelle carceri non vi è alcun rispetto della persona, valore fondamentale della nostra civiltà occidentale. Le condizioni delle carceri italiane, infatti, minano ogni giorno la salute e la dignità delle persone detenute. L’art. 6 del regolamento penitenziario afferma che “i locali in cui si svolge la vita dei detenuti devono essere igienicamente adeguati”.
La realtà è ben diversa, denuncia Sarno: “Persone rinchiuse in piccole celle per 22 ore al giorno, celle buie, fredde d’inverno e roventi d’estate, dove i detenuti consumano anche i loro pasti, con un piccolo lavandino, dove spesso l’acqua non esce, con letti a castello (anche a quattro piani) accatastati alle pareti. A tutto ciò devono aggiungersi le difficilissime condizioni di lavoro degli operatori penitenziari, soprattutto della Polizia Penitenziaria, spesso costretti a turni massacranti a causa delle gravi carenze di organico”.
In Puglia la capienza regolamentare sarebbe di 2.492 detenuti, ma le presenze effettive corrispondono a 4.486 detenuti. Drammaticamente emblematico il dato relativo al carcere di Bari che, pur con una sezione chiusa, ospita ben 550 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 210.
Occorre che la società civile si mobiliti e che anche i media riconquistino il ruolo di forza determinante per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di considerare il detenuto, che deve giustamente pagare i suoi debiti con la società, comunque, persona con tutti i suoi diritti. Non esagera dunque Sarno quando parla di “barbarie”: “La nostra Costituzione, ha inteso affermare e tutelare i diritti di tutti i cittadini, pertanto crediamo che l’opera di denuncia e di sensibilizzazione sia importante per far comprendere che senza il superamento della cultura della pena carceraria non risolveremo mai i problemi di sovraffollamento, dei suicidi in carcere, delle recidive”.