Morte sospetta nel carcere di Livorno

LIVORNO – Nel carcere Le Sughere di Livorno è stato trovato il corpo senza vita di Agatino Filia, che aveva 56 anni. Sarebbe tornato libero oggi. E’ il decesso numero 155 nelle carceri italiane e il 54° suicidio (se di suicidio si è trattato). Già, perchè in verità questo ennesimo episodio appare assai anomalo, tanto da meritare maggiori e più seri approfondimenti. Anomalo soprattutto per il modo in cui è stato eseguito. Agatino  non è stato ritrovato infatti, come accade di solito, appeso ad un lenzuolo. Né è stato ritrovato morto in quei luoghi dove più frequentemente i detenuti si suicidano, perché sanno di poter contare sulla solitudine, come il bagno della cella o un magazzino del carcere. Agatino Filia è stato ritrovato cadavere sulle scale del carcere. Ovvero un luogo che è tutt’altro che riservato e  dove ben poteva essere visto da chi avrebbe dovuto sorvegliarlo.

A poche ore dalla libertà.
Non solo. Il suo corpo è stato rinvenuto a terra, con un pezzo di lenzuolo vicino al corpo e non attorno al collo. Unico segno della presunta impiccagione: i lividi rinvenuti sul collo. E infine: Agatino si sarebbe ucciso a pochi giorni dalla sua scarcerazione. Oggi infatti, a poche ore dalla morte, sarebbe tornato libero, perché la sua pena era ormai terminata. Nonostante tutti questi elementi, Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha dato per scontato il suicidio di Filia ed ha affermato: “Penso che abbia avuto timore di uscire perché forse non aveva possibilità di accoglienza nella società. Altrimenti – ha precisato Ionta – è impensabile commettere un atto così drammatico”.

La prassi della violenza. Nel carcere di Livorno sono già morti ben 17 detenuti dal 2003 (di cui ben tre solo nel 2011) e diversi tra questi decessi si sono verificati in circostanze a dir poco misteriose. Ma, al di là dei numeri, è la vita che si è costretti a fare a Le Sughere. Dove, stando alle testimonianze di detenuti e agenti di polizia penitenziaria, non si mette in atto nessun processo di rieducazione, ma dove al contrario la violenza sembra sia la prassi.

La testimonianza. Né è stato testimone Mario, 43 anni, che ha vissuto la detenzione nel carcere di Livorno e che, nel corso di una puntata di Radiocarcere su Radio Radicale 1, ha raccontato la sua terribile esperienza. Ovvero anni passati in piccole celle, dove le persone detenute vengono ammassati in 6 o in 7, costretti a vivere 22 ore al giorno uno sopra l’altro.
Ma Mario racconta anche altro, che ha a che fare soprattutto con la violenza. “Nel carcere di Livorno” – racconta – “ne succedono di tutti i colori, ma nessuno ne parla. Nelle celle vivevamo come animali, ma guai a lamentarci, guai a chiedere anche una semplice medicina”.

“Nella cella liscia”. “Alle guardie non si può chiedere nulla. Questa è la regola per sopravvivere nel carcere di Livorno, oppure si rischia la cella liscia, la cella di isolamento. Ci sono stato nella cella liscia – prosegue Mario – era inverno, ma mi hanno lasciato lì in mutante. Dormivo su un materasso buttato a terra e senza neanche una coperta. Nudo, rannicchiato su quel materasso non sapevo più dove ero e cosa ero. Una notte, siccome urlavo per la disperazione, sono entrati e mi hanno picchiato. Erano 6 o 7 guardie, con guanti e con gli scarponi che in cima hanno il ferro. E quelli fanno un po’ male. M’ hanno spaccato la faccia”.

E non è un caso isolato.
Quello di Mario è un caso eccezionale? “No non lo è stato – ha aggiunto il detenuto al microfono di Radiocarcere – non ero il solo a Livorno a subire questo trattamento. Ho visto tanti detenuti presi e portati via. Quando tornavano in cella avevano i lividi addosso, spaccati in faccia e gli occhi pesti. Dentro quelle mura sono cose normali”.
Botte e degrado, dunque, sono la normalità a Le Sughere, a quanto pare.

Un po’ di numeri di “Ristretti Orizzonti 2“. Al Le Sughere i detenuti sono circa 450 e 17 morti negli ultimi 8 anni, per un carcere di medie dimensioni, rappresentano un dato eccezionalmente grave. In altre carceri con un numero di detenuti compreso tra 400 e 500 nello stesso periodo i decessi sono stati molti di meno: Agrigento 3, Alessandria 4, Ancona Montacuto 5, Avellino 4, Busto Arsizio 5, San Gimignano 1, Trapani 1, Vibo Valentia 4, Vigevano 2. A Livorno si è registrato anche il caso particolarmente controverso di Marcello Lonzi, ritrovato cadavere in cella l’11 luglio 2003 (il corpo coperto di lividi), che è stato oggetto di una lunghissima inchiesta giudiziaria conclusasi recentemente con l’archiviazione: morto per “aritmia maligna”

Fonte: Repubblica

 


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