Nuovo suicidio nel penitenziario di Parma. Necessità di soluzioni è ora priorità.
Si è appreso oggi che un uomo di 76 anni, C.N. di nazionalità italiana, si è tolto la vita lo scorso primo maggio nelle ore pomeridiane.
La morte è avvenuta per asfissia causata dall’uso volontario di una bomboletta di gas. Questo nuovo drammatico episodio di disperazione riporta il suicidio tra le sezioni del peniteziario parmigiano dopo quello avvenuto nel dicembre del 2015 (A.R. 49 anni italiano).
Lo scorso aprile invece un uomo di 62 anni, A.T. cittadino italiano, era deceduto in una sezione di alta sicurezza dopo che da diverso tempo protestava per le sue precarie condizioni di salute e la insufficienza delle cure ricevute. Sul caso, sentito il legale del detenuto, si è potuto appurare che alcuna diagnosi era stata ancora rilasciata dai sanitari. Dopo questi tragici avvenimenti non è possibile rimanere in silenzio rimettendo il tutto alla inaccetabile normalità della illogica equivalenza tra carcere e deprivazione dei diritti. I tre casi hanno diverse cose in comune.
La impossibile convivenza di una stato di patologia grave con la detenzione e l’attesa, vana, di una soluzione a questo problema che porta all’inevitabile accettazione di una morte indecente. A.R. era recluso nel Centro diagnostico terapeutico ed è morto per impiccagione. C.N. era recluso nel reparto Minorati fisici, con questo orribile termine, ereditato da una cultura penitenziaria che risale alle regole detentive della prima metà del novecento e che ancora dura perché nessuno ha voglia di cambiarla, ci si riferisce ad un luogo di reclusione dove si trovano persone che se fossero libere sarebbero “disabili”, “invalidi” o “non autosufficienti”. A.T. stava invece perennemente in cella convivendo con l’incertezza di quale patologia affliggesse il suo corpo e dopo essere sopravvissuto ad un ictus. Tutti e tre scontavano pene lunghe, anche l’ergastolo, che quando non ostativo di diritto lo era però di fatto.
Tutti e tre vivevano in sezioni diverse, in celle singole, non partecipavano ad alcuna attività ed erano casi in carico anche alla sanità. Il Garante ritiene ora prioritario che si faccia chiarezza su quale sia la effettiva volontà della Amministrazione penitenziaria di gestire il carico sanitario del carcere di Parma e se si intende valutare la sostenibilità gestionale del penitenziario tenendo conto del ridotto numero di agenti di Polizia penitenziaria e di educatori. I numeri non permettono la gestione ad esempio di attività pomeridiane e per il periodo estivo al punto che è stato già diramato un ordine interno di riduzione e/o chiusura delle attività della Comunità esterna per il rispetto del piano ferie del personale per un periodo che va dal 15 giugno al 15 settembre (3 mesi!!).
Non ultimo si richiama la necessità di dotare Parma di una direzione stabile e a tempo pieno. Si invita l’AUSL di Parma ad essere più tempestiva nella presa in carico dei casi sanitari e nell’efficacia degli interventi a favore dei detenuti. Infine è necessario che la Magistratura di sorveglianza di Reggio Emilia riduca i tempi di risposta alle istanze dei detenuti ed in particolare vigili maggiormente sul rispetto delle norme penitenziarie e dei diritti dei reclusi.