Due condanne a morte sono state eseguite oggi in Giappone. Le esecuzioni per impiccagione sono il secondo ciclo, dopo quello di tre giustiziati del 21 febbraio, decise sotto il governo guidato dal premier conservatore Shinzo Abe, salito al potere sulla spinta delle elezioni politiche generali ampiamente vinte il 16 dicembre scorso. In base a quanto detto dal ministero della Giustizia, i detenuti giustiziati sono Katsuji Hamasaki (64 anni) e Yoshihide Miyagi (56 anni), affiliati alla yakuza (la mafia nipponica) e giudicati colpevoli dell’omicidio nel 2005 di due uomini legati a un clan rivale, freddati in un ristorante di Ichihara, nella prefettura di Chiba. «Si è trattato di crimini estremamente feroci e crudeli, col rischio di coinvolgimento di gente comune», ha commentato in conferenza stampa il Guardasigilli, Sadakazu Tanigaki, che ha firmato il decreto d’esecuzione.
«Molte persone in Giappone ritengono sia necessaria – ha aggiunto, in merito alla pena capitale -. Quello che dobbiamo fare è esaminare e decidere se un detenuto debba essere giustiziato, in modo prudente». Attualmente, ci sono oltre 130 condannati nel braccio della morte in attesa del decreto esecutivo
“Il Giappone volta le spalle al mondo sulla pena di morte data la prevalenza dell’indirizzo che punta a una società libera dalla sentenza capitale”. È il commento di Hideki Wakabayashi, segretario generale della filiale nipponica di Amnesty International. “Il governo nipponico cammina su una via sempre più solitaria nel mondo. Sono cinque le persone giustiziate in appena quattro mesi dalla nascita dell’esecutivo di Shinzo Abe. Un trend che, a questo punto, tradisce le reali intenzioni del governo che desidera conservare con convinzione il sistemadella pena di morte, intensificandone addirittura il ricorso».