Grazie alla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Venezia di chiedere alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla possibilità di sospendere la pena se in cella non c’è abbastanza spazio, per la prima volta si affaccia all’orizzonte penale del nostro Paese l’idea delle carceri “a numero chiuso”. Una formula certo non esplicitata dai giudici che si sono trovati di fronte alla richiesta del detenuto Paolo Negroni, originario di Padova, di ottenere il differimento della pena a causa del sovraffollamento, ma che nella sostanza richiama quanto già accaduto in California e in Germania, dove sono stati posti limiti all’ingresso in carcere se questo non garantisce il rispetto dei diritti umani.
In California nel 2009 la Corte federale aveva addirittura intimato al Governatore di mettere fuori un terzo della popolazione reclusa, circa 40 mila persone, perché il sovraffollamento non garantiva ai detenuti condizioni di vita dignitose. Il 47 enne padovano, arrestato a settembre scorso mentre pedalava per le strade di Tombolo violando gli arresti domiciliari, era stato condannato a ulteriori otto mesi di detenzione. Ma nella sua cella del carcere Due Palazzi, dove al momento risiedono circa 870 detenuti in 369 posti regolamentari, l’uomo si è visto costretto a vivere con meno di tre metri quadri a disposizione. Un “trattamento inumano e degradante”, oltre che una violazione dell’articolo 27 della Costituzione, secondo quanto stabilito poche settimane fa dalla Corte europea dei diritti umani nella sentenza Torreggiani, con la quale ha condannato il nostro Paese.
Mentre così la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza, e in pratica a stabilire se una pena vada scontata in cella anche a rischio di essere incostituzionale, è stata avviata la raccolta firme sui tre progetti di legge di iniziativa popolare, promossi da un ampio “cartello” di associazioni e organizzazioni. E nel pacchetto di proposte legislative “per la giustizia e i diritti” si prevede appunto che “nessuno debba entrare in carcere se non c’è posto”. E che, per risolvere il grave stato di sovraffollamento, sia necessario modificare quelle leggi che cercano nel carcere una risposta al disagio sociale.
Leggi il più delle volte ideologiche, come quella sulle droghe, che ha riempito le nostre galere di tossicodipendenti, come dimostra il dato sconvolgente del Consiglio d’Europa secondo cui in Italia il 38,4 dei detenuti ha una condanna definitiva proprio per i reati previsti della Fini-Giovanardi. Sarà forse per difendere questo risultato record che Carlo Giovanardi s’è affrettato a puntare il dito contro quei politici che hanno sottoscritto le leggi di iniziativa popolare, accusandoli di volere la liberalizzazione delle sostanze? Più probabilmente, come hanno replicato le associazioni del cartello promotore, prima di parlare l’ex sottosegretario non si è nemmeno preso la briga di leggere il testo della loro proposta. Perdendo così l’ennesima occasione per star zitto.