Ha sorpreso i poliziotti mentre passavano tra le celle per batterne le inferriate (una misura antievasione, ndr): quando si sono avvicinati alla sua li ha sorpresi e aggrediti, mandandone cinque in ospedale.
E’ successo ieri pomeriggio al carcere della Dozza. Protagonista della vicenda un detenuto straniero, secondo le guardie penitenziarie non nuovo a fatti del genere. I fatti si sono consumati nel reparto Infermeria del carcere. Alla fine, un sovrintendente e 4 agenti di polizia penitenziaria hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere, con prognosi che vanno dai sette ai dodici giorni.
A riferire sulla dinamica dei fatti sono Domenico Maldarizzi della Uil PA Polizia Penitenziaria ed Antonino Soletta della Cgil: “Il sovrintendente ed altri due Agenti erano intenti ad eseguire la battitura delle inferriate quando il detenuto, peraltro già segnalato per atteggiamenti violenti, si è scagliato prima su un agente e successivamente ha sfregiato sul viso il sovrintendente con una penna. Ne è nata una colluttazione dove il magrebino aveva la meglio impossessandosi del ferro usato dagli Agenti per la battitura, barricandosi all’interno della sezione, e minacciando chiunque si avvicinasse. Solo con l’intervento del Comandante di Reparto, dopo una serrata trattativa, si riusciva a far desistere il ristretto dal suo intento violento e ad arrendersi alla Polizia Penitenziaria. Il ristretto dopo qualche ora è stato immediatamente trasferito in altra struttura della Regione”.
I sindacati approfittano dell’episodio per ricordae le condizioni di lavoro all’interno dell’istituto penitenziario, sostenendo che “nessuna condizione, per quanto disumana ed incivile, può giustificare il ricorso alla violenza” e chiedendo procedimenti disciplinari e penali per i detenuti in casi come quesllo sopra descritto, sollecitando la dirigenza a prendere provvedimenti.
Poi ci sono i risvolti psicologici sull’attività. E qui è il sindacato Sinappe a prendere posizione, e a richiedere, in una lettera recapitata ai vertici degli istituti penitenziari di Dozza e Pratello e all’Ausl regionale, un presidio fisso di psicologi presso i locali degli istituti penitenziari, ad uso del personale.
Il lavoro dentro al carcere -scrivono i poliziotti- “impatta fortemente sulle condizioni di vita del personale in divisa che, statistiche nazionali alla mano, è quello maggiormente interessato da casi di suicidio, che dall’anno 2000 ad oggi sarebbero più di cento, almeno cinque all’anno”.
Pertanto gli agenti avertono la necessità “di ribadire l’esigenza non più rinviabile di prevedere un supporto psicologico reale che superi la mera predisposizione di un numero verde di ascolto telefonico e si ponga l’obiettivo concreto di afrontare qualsiasi situazione di disagio riguardi il personale di Polizia Penitenziaria”.