Sono passati quindici lunghi mesi dalla morte di Federico Perna nel carcere di Poggioreale. Federico era un ragazzo di 34 anni, finito in cella per un cumulo di pene a causa di piccoli reati legati alla droga, e morto l’8 Novembre 2013 con molte gravi patologie e un corpo martoriato. Quindici mesi fa è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Napoli, ma da allora l’unica evoluzione è stata la richiesta di archiviazione e l’opposizione degli avvocati. Quindici mesi aggiungono pena a pena, soprattutto se non si riesce a venire a capo di una morte avvenuta in circostanze così drammatiche e oscure. “Non abbiamo ancora risposte – si sfoga la madre, Nobila Scafuro – e questo mi fa cadere le braccia. Ho fiducia nella giustizia ma spero che il giudice guardi bene a fondo la storia di Federico, che sicuramente non è morto di ‘morte naturale’ come dicono. Basta guardare le sue foto, la sua situazione, le sue malattie”.
L’avvocato Camilo Autieri intanto, non si è fermato. Ora chiama in causa direttamente lo Stato: nello specifico, il Ministero della Salute e il Ministero della Giustizia, “ che incarnano lo Stato e noi crediamo che sia dello Stato, nel suo complesso, la responsabilità della morte di Federico Perna”. “Alla base della nostra azione – continua – ci sono innumerevoli pareri di medici incaricati e medici interni all’istituzione carceraria che dicono tutti, univocamente, una cosa: il ragazzo era incompatibile con il carcere”. Questa mossa, spera l’avvocato, darà un impulso anche all’azione penale: “Nell’inchiesta aperta a Napoli – accusa – Siamo stati ostacolati nel diritto di difesa: di fatto, non siamo stati messi in condizione di svolgere indagini difensive”. Ma in che senso? “Non ci è mai stata rilasciata copia delle cartelle cliniche del giovane – risponde Autieri – Mai date autorizzazioni per parlare con le persone che erano in cella con lui; abbiamo fatto istanze su istanze, ma non ci è stata data nemmeno risposta. Pensi che non ci hanno concesso nemmeno di ritirare gli effetti personali di Federico, le poche cose che aveva in cella”. Oltre a chiamare in causa i ministeri, il legale ricorrerà anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La vicenda è quanto mai controversa e drammatica, come Fanpage.it ha raccontato in questo lungo periodo. Federico Perna era molto ammalato. Era tossicodipendente, e nonostante avesse epatite C, cirrosi epatica, leucopenia e piastrinopenia (carenza di difese immunitarie), un disturbo borderline di personalità e lamentasse problemi cardiaci, è stato trasferito di carcere in carcere fino a Poggioreale: tutte le istanze per riportarlo a casa e le richieste dei sanitari di trasferirlo in una struttura dove potesse essere curato sono state rigettate o ignorate: “Può essere curato in carcere, stiamo attendendo un ricovero, c’è carenza di letti”, queste le risposte più comuni. Intanto Federico stava male: la sua situazione è il paradigma della tortura che le carceri italiane possono infliggere alle persone, tra sovraffollamento, carenza di assistenza sanitaria, abbandono e maltrattamenti. E poco importa che vi siano stati pareri da parte di medici interni alle strutture carcerarie e medici di parte che certificavano la sua incompatibilità con il regime detentivo per le gravi condizioni di salute. Si è aggiunta gravità a gravità, perché a un certo punto il ragazzo ha iniziato a lamentare fiato corto, problemi riconducibili al cuore “mai approfonditi”, denunciano gli avvocati. Fino alla morte, avvenuta l’8 Novembre 2013: secondo la perizia disposta dalla Procura di Napoli si è trattato di un attacco ischemico. Ma la madre di Federico, che dopo l’autopsia aveva deciso con un gesto estremo di pubblicare le foto del figlio, stenta a credere che quel corpo martoriato sia semplicemente il risultato di un malore improvviso. Nel 2013 sono state presentate anche due interrogazioni parlamentari. Siamo nel periodo in cui è ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che si era interessata personalmente della vicenda di Giulia Ligresti, in carcere e affetta da anoressia, figlia dell’imprenditore Salvatore Ligresti, amico di vecchia data dell’ex ministro. Anche l’associazione Antigone Campania è intervenuta sul nostro giornale per affermare con forza che il giovane non poteva stare in carcere. “Non avevo il numero della Cancellieri”, si sfogava Nobila in quel periodo. Federico lo scriveva spesso, nelle lettere alla madre, che voleva tornare a casa per curarsi: “Mamma, mi stanno ammazzando, portami a casa”, ed era diventato una specie di mantra. “Mio figlio ha cambiato nove carceri in condizioni di salute disperate, è stato un martire dello Stato, lasciato morire in cella – racconta Nobila Scafuro – E poi nessuno mi leva dalla testa la smorfia di dolore impressa sul suo volto. Non aveva più i denti, aveva una grossa ustione sul braccio, un palmo della mano rotto perché secondo l’autopsia ha urtato contro un corpo contundente. C’è anche chi mi ha descritto che Federico è stato picchiato (Fanpage.it ha pubblicato una lettera, che deve essere vagliata dai difensori, ndr). Questo è un dubbio lacerante che nessuno mi toglierà mai dalla testa”. Intanto, Nobila ha scritto un libro per ricordare la sua amarissima vicenda e ha aperto una associazione, “Federico Perna – Diritti e Doveri”, per aiutare detenuti ed ex detenuti. E per mantenere viva la memoria di Federico.