G8 – L’Italia condannata per tortura nelle carceri di Bolzaneto e Asti

Due condanne in un solo giorno provenienti da Strasburgo confermano ancora una volta l’uso della tortura nelle carceri italiane, reato per il quale lo Stato non ha mai chiesto scusa alle vittime e non ha mai punito i responsabili (ma non li ha neppure sospesi durante l’inchiesta e il processo, come sottolinea la Corte europea dei diritti dell’uomo).

Sono 63 in totale le persone che, da recluse, hanno subito violenze fisiche e psicologiche da parte di autorità di polizia: due durante la detenzione nel carcere di Asti nel 2014, quando vennero sottoposte a maltrattamenti di vario tipo da parte di cinque agenti penitenziari, e 61 a Bolzaneto tra il 20 e il 22 luglio 2001, durante i giorni del G8 di Genova.

A tutti loro la Cedu ha riconosciuto ieri un indennizzo che va dai 10 mila agli 88 mila euro a testa (a seconda delle gravità delle violenze subite e della «conciliazione amichevole» eventualmente già pattuita con il governo italiano), condannando così Roma al pagamento complessivo di 4 milioni e 10 mila euro per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani.

«A GIUDIZIO DELLA CORTE, i giudici nazionali hanno fatto un vero e proprio sforzo per stabilire i fatti e individuare i responsabili», scrive la Cedu, ma a causa della lacuna normativa di allora i torturatori sono rimasti impuniti. Il problema, sul quale i giudici di Strasburgo ovviamente non si soffermano ma che viene sottolineato dal commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, è che il reato di tortura rischia di rimanere impunito in alcuni casi anche in futuro, perché la legge entrata in vigore il 18 luglio scorso che introduce finalmente quella fattispecie di reato nell’ordinamento italiano è volutamente contorta e difficilmente applicabile.

Anche se il ministro Orlando un paio di giorni fa si è detto convinto che la nuova legge abbia recepito le direttive della Cedu contenute nella sentenza Cestaro del 2015 e ha spiegato che comunque il testo ha bisogno di essere applicato per verificare eventuali «elementi di fragilità normativa», caso in cui, ha detto, «non escludiamo una riflessione».

DOPO LA CONDANNA del giugno scorso per le torture perpetrate dalle forze dell’ordine nella scuola Diaz, i giudici di Strasburgo riconoscono ad altre 61 persone, alcune delle quali arrestate proprio durante quell’irruzione, il diritto ad essere risarcite per le violenze subite «dagli ufficiali di polizia e dal personale medico» a Bolzaneto, una delle due caserme, insieme a Forte San Giuliano, adibite a centri temporanei di detenzione dei manifestanti “rastrellati”. Per due giorni, le vittime vennero «aggredite, picchiate, spruzzate con gas irritanti, subirono la distruzione degli effetti personali e altri maltrattamenti – ricorda la Corte – Mai avrebbero ricevuto adeguate cure per le ferite riportate, e la violenza sarebbe continuata anche durante le visite mediche», oltre a non aver potuto contattare familiari, avvocati e consolati.

Per questi fatti «la procura di Genova indagò 145 tra poliziotti e medici, di cui 15 vennero poi condannati a pene tra i 9 mesi e i 5 anni di reclusione». Ricorda la Corte che successivamente «dieci di loro hanno beneficiato di una grazia, tre di una completa remissione della pena detentiva e due di una remissione di 3 anni; quasi tutti i delitti sono stati prescritti».

Undici dei ricorrenti davanti alla Cedu hanno già accettato di ricevere dal governo italiano 45 mila euro per una «conciliazione amichevole» e perciò hanno diritto ad un risarcimento minore. Ma a nessuna delle tante vittime dei torturatori di Genova, sottolinea Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum del 2001, «a 16 anni dai fatti, dopo varie condanne italiane e internazionali, non è ancora arrivata alcuna parola di scusa a nome dello Stato da parte dei suoi massimi rappresentanti, primi tra tutti il presidente della Repubblica. Una vergogna nella vergogna».

FORSE PERFINO più importante e incisiva è la seconda sentenza emessa ieri dalla Cedu, perché è la prima volta che viene riconosciuta la tortura in un “regolare” carcere italiano e l’Italia viene condannata sia per il delitto in sé «(aspetto sostanziale») che per quanto riguarda la risposta delle autorità nazionali (aspetto procedurale)».

In questo caso, il governo dovrà risarcire con 88 mila euro ciascuno, due detenuti del carcere di Asti o i loro familiari (i torinesi Andrea Cirino e Claudio Renne, quest’ultimo morto in una cella a Torino nel gennaio scorso), per le torture subite nel dicembre 2014 da cinque poliziotti penitenziari, tutti assolti dal tribunale di Asti per mancanza di reato specifico. E perché «malgrado le sanzioni disciplinari imposte», ritenute dalla Cedu, «non sufficienti», gli agenti «non sono stati sospesi durante l’inchiesta o il processo».

Due sentenze che il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, considera «un campanello d’allarme che richiede importanti e urgenti azioni da parte dell’Italia».

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