Caltanissetta, 30enne egiziano si impicca in carcere

Era stato trasferito dall’istituto penitenziario di San Cataldo, dove sarebbe stato protagonista di eventi che avrebbero turbato l’ordine. Ieri gli era stata negata l’estradizione nel suo Paese. «Quattro suicidi tra le sbarre in una settimana sono il segno di come i problemi sociali e umani permangono», denuncia il Sappe.

Si sarebbe ucciso impiccandosi con le lenzuola alla grata della cella. È morto così stanotte un detenuto egiziano di 30 anni, all’interno del carcere di Caltanissetta. Nell’istituto penitenziario del capoluogo nisseno era stato trasferito da quello di San Cataldo, nella stessa provincia, dove si sarebbe reso protagonista di episodi violenti.

A darne comunicazione è il sindacato di polizia Sappe. «L’uomo che si è impiccato nella cella stanotte – afferma il segretario generale Donato Capece – era arrivato a Caltanissetta dal carcere di San Cataldo, dove si era reso protagonista di più eventi che avevano turbato l’ordine e la sicurezza interna». In carcere dal 2014, avrebbe finito di scontare la pena nel 2018.

Capece riferisce che «proprio ieri gli era stata negata l’estradizione al suo Paese, ma non è accertato che questo possa avere attinenza con il grave gesto di cui si è reso responsabile». Rispetto ai motivi che lo avrebbero portato al suicidio, il segretario del sindacato aggiunge un elemento su cui si dovrà indagare. «Sappiamo che ha lasciato un messaggio, ma c’è massimo il riserbo sui contenuti».

Quello di oggi è l’undicesimo suicidio di detenuti dall’ inizio dell’ anno. «I quattro detenuti suicidi tra le sbarre in una settimana sono il segno tangibile di come i problemi sociali e umani permangono nelle carceri del Paese, nonostante l’attenzione e la vigilanza del personale di polizia penitenziaria, spesso lasciato solo a gestire queste situazioni di emergenza».

Il suicidio, aggiunge il sindacalista, «è spesso la causa più comune di morte nelle carceri: gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto – conclude Capece – rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati».

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