CECINA. E’ abituato a condurre una vita solitaria. La sua famiglia è composta da lui e dai suoi due cani. I genitori è come se non ci fossero, lontani dagli occhi e dal suo cuore. Ora lui è in carcere, inevitabile capolinea di troppi viaggi sbandati, di una gioventù sgualcita dalla droga, di giorni trascorsi da barbone, da emarginato. E dal carcere chiede un contatto: con i propri cani. Paolo Pierucci, 37 anni, ci ha scritto una lettera dalla casa circondariale di San Gimignano dove sta scontando un cumulo di pena per condanne passate in giudicato. Furti, estorsione, spaccio. A Cecina lo chiamavano “il cowboy” per quella sua camminata ciondolante, per gli stivali, per la sua indole da lupo solitario.
Non si è mai nascosto, non ha mai accampato giustificazioni. Sa di aver commesso un errore dopo l’altro e le violenze che ha subìto (e non sono violenze da poco) non le ha mai usate come scusa. L’unica cosa che Paolo ha chiesto è stato aiuto: quattro anni fa fu tra quelli che vennero sfrattati da un casolare in rovina, l’edificio di via Curtatone che ora è al centro di un progetto di ristrutturazione di edilizia popolare. Quando arrivarono i vigili in quel casone trovarono tre famiglie di rifugiati eitrei, accampate in modo dignitoso. All’angolo, in mezzo alla sporcizia, nel più totale degrado c’erano Paolo e i suoi cani. Lui chiese aiuto e lo ottenne: il veterinario Marco Melosi si occupò dei suoi cani, l’assessore Lia Burgalassi gli trovò una sistemazione provvisoria, il maresciallo Fabio Pacchini gli procurò un po’ di vestiti puliti e pure un cellulare. Durò poco. Anche i vestiti li rivendette per fare un po’ di soldi e comprarsi la droga. Fece a botte. La sua vita- non-vita ricominciò. Finché non è finito dentro. Ora da quella cella del carcere sangimignanese, reparto media sicurezza, lui ringrazia tutte le persone sopra menzionate.
«Ma non smetto di pensare alle mie canine» scrive, aggiungendo che «ho sentito che un giudice ha permesso a un detenuto di vedere i suoi cani». Questo chiede, soprattutto. Di poter accarezzare di nuovo i suoi amici, la sua famiglia di fatto. Ci siamo informati, i cani sono stati affidati a una persona. Abbiamo anche cercato il direttore del carcere, Giuseppe Altomare, che però ieri è risultato tutto il giorno irreperibile per una lunga riunione con i vertici della polizia penitenziaria. Ci riproveremo, per capire intanto se sia disponibile ad andare incontro a questa particolare richiesta di un detenuto. In Italia, ha ragione Paolo, c’è chi lo ha fatto. Al penitenziario Dozza di Bologna, ad esempio, a novembre, in occasione della festa delle famiglie.
Paolo lancia anche un altro appello: cerca un avvocato o qualcuno che si prenda cura di lui sul fronte giudiziario, che lo inserisca in un programma del Sert, che gli faccia ottenere l’affidamento ai servizi sociali.
Ma soprattutto chiede di rivedere le sue canine: «Ora sono vecchie. Sono state sempre con me per darmi la felicità e vorrei che morissero fra le braccia di chi le ha veramente amate».