Sassari, 31 marzo 2013. Jacques De Deker, cittadino belga, muore nel Centro clinico del carcere di San Sebastiano. Era malato di cancro al pancreas e aveva 66 anni. Era in carcere all’agosto 2006 e doveva scontare complessivamente 12 anni e 4 mesi, pena derivante da due diverse condanne per traffico di droga.
Il tumore gli era stato diagnosticato nel 2008 e da allora si era battuto per ottenere prima la possibilità di curarsi fuori dal carcere e in seguito – sfumata ormai ogni possibilità di cura – almeno di poter morire “accanto ai miei due bambini e a mia moglie, in Belgio”, come lui stesso scrive in una lettera-appello del marzo 2009. Invece, quattro anni più tardi, morirà in una cella del carcere di Sassari. Di seguito la cronaca della sua vicenda, attraverso le pagine del quotidiano “La Nuova Sardegna”.
Ha un tumore ma resta in carcere
21 aprile 2010
Nell’ottobre del 2008 gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas. Da allora, nonostante i suoi disperati appelli e le lettere ai giornali, non ha potuto iniziare alcun tipo di cura. Jacques De Decker, infatti, è in carcere per droga. Nonostante il parere favorevole del tribunale di sorveglianza, che il 24 febbraio 2009 aveva sospeso la pena per consentire al cittadino belga di andare a curarsi nel suo paese, il tribunale ordinario poco più di un anno fa ha rigettato la richiesta: si deve ancora celebrare, infatti, il processo d’appello.
La data di inizio del nuovo processo, però, non è stata ancora fissata. E più tempo passerà, meno possibilità avrà De Decker di curare il male che giorno dopo giorno lo sta uccidendo. La neoformazione che gli è stata trovata nel pancreas, infatti, è passata da 2,3 a 3,8 centimetri di diametro in poco tempo.
“Se devo morire, voglio farlo accanto ai miei due bambini e a mia moglie, in Belgio” aveva dichiarato De Decker in una lettera pubblicata sulla Nuova Sardegna nel marzo del 2009.
Il cittadino belga è stato condannato a sette anni e 4 mesi per traffico di droga. Nelle due pagine scritte a mano, aveva raccontato la sua vicenda personale, spiegando la gravità del suo caso. “La condanna a sette anni e quattro mesi è stata sospesa dal tribunale di sorveglianza per motivi di salute – aveva spiegato De Decker – ho un tumore al pancreas e devo farmi operare al più presto possibile. Inoltre, sono cardiopatico è ho avuto un ictus. Però, non posso andare a curarmi nel mio paese, dove vivono mia moglie e i miei due bambini, perché il tribunale ordinario ha disposto la custodia cautelare in carcere per un altro processo in cui sono imputato e non intende revocarla”.
In effetti, il 24 febbraio 2009 (e successivamente all’inizio del 2010), il magistrato di sorveglianza aveva firmato il differimento della pena per Jacques De Decker e aveva disposto la scarcerazione, inviando gli atti al tribunale di sorveglianza. Due giorni dopo, il presidente del collegio aveva confermato il differimento della pena, ma non aveva potuto disporre la scarcerazione proprio perché era in corso un altro procedimento penale. In pratica, la pena era stata sospesa per consentire al paziente di curarsi, ma lui comunque non è mai uscito dal carcere.
Il magistrato di sorveglianza il 3 febbraio 2009 aveva affidato al dottor Antonio Pazzola, del reparto di Oncologia medica del Santissima Annunziata, una perizia per accertare da quali patologie fosse affetto il detenuto, se le sue condizioni di salute fossero di particolare gravità e se fossero o meno compatibili con il regime di detenzione in carcere.
Il medico incaricato era arrivato a queste conclusioni: “Il detenuto De Decker è affetto da neoplasia pancreatica complicata da pancreatite e da epatite colostatica. Le condizioni cliniche del detenuto non sono più compatibili con il regime di detenzione carceraria”. Il 9 marzo 2009 il tribunale ordinario aveva respinto l’istanza di revoca della misura cautelare in carcere, presentata dal legale di De Decker, Giuseppe Onorato, e a distanza di un anno il cittadino belga è ancora a San Sebastiano.
“Sto per morire, fatemi tornare a casa”
31 marzo 2009
“Se devo morire, voglio farlo accanto ai miei due bambini e a mia moglie, in Belgio”. È il drammatico appello di un cittadino belga di 62 anni, malato di tumore al pancreas.
Il magistrato di sorveglianza il 3 febbraio scorso aveva affidato al dottor Antonio Pazzola, del reparto di Oncologia medica del Santissima Annunziata, una perizia per accertare da quali patologie fosse affetto il detenuto, se le sue condizioni di salute fossero di particolare gravità e se fossero o meno compatibili con il regime di detenzione in carcere.
Il medico incaricato, dopo avere consultato anche il primario di Chirurgia, Nicola d’Ovidio, e il radiologo, dottor Lampus, era arrivato a queste conclusioni: “Il detenuto De Decker è affetto da neoplasia pancreatica complicata da pancreatite e da epatite colostatica. Trattandosi di un tumore localmente avanzato, ma senza metastasi a distanza, necessita di un intervento chirurgico che, per la sua prevedibile complessità, dovrà essere preceduto da una consulenza specialistica”. Per questi motivi, secondo il perito, “le condizioni cliniche del detenuto non sono più compatibili con il regime di detenzione carceraria”.
Il differimento della pena mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga “in spregio del diritto di salute e del senso d’umanità”. Il collegio del tribunale di sorveglianza, tenuto conto del risultato della perizia, rilevato che le patologie di De Decker vanno inquadrate come “infermità fisica molto grave” aveva così disposto soltanto il differimento, senza porre alcuna scadenza.
Il 9 marzo scorso, il tribunale ordinario ha respinto l’istanza di revoca della misura cautelare in carcere, presentata dal legale di De Decker, Giuseppe Onorato. “Come riferito dal medico legale, il quadro clinico di De Decker non risulta mutato in modo apprezzabile – si legge nelle motivazioni firmate dal presidente Marina Capitta, rispetto a quello rilevato in occasione del precedente giudizio di compatibilità – Inoltre, non è possibile formulare una diagnosi certa di neoplasia pancreatica a causa del rifiuto dell’interessato di sottoporsi ad approfondimento diagnostico. Infine, neppure le condizioni generali del paziente, nel frattempo aumentato di peso, danno conferma della sospetta patologia, la quale – di norma – avrebbe provocato un rapido decadimento organico, tenuto conto del lungo tempo trascorso dalla diagnosi”.
“Ho un cancro al pancreas, fatemi tornare a casa”
26 ottobre 2008
All’inizio di ottobre gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas: una delle forme di tumore più aggressive e difficili da curare. Lui vorrebbe tornare nel suo paese, in Belgio, per essere seguito da medici di cui si fida e per avere vicini i suoi parenti. Per una persona normale, questo elementare diritto alla salute può essere garantito senza alcun problema. Per chi si trova in carcere, come Jacques De Decker, 62 anni, da due a San Sebastiano, in attesa di giudizio per droga, poter fare le valigie e tornare a casa è molto più complicato. Il problema è che più tardi inizierà la terapia, meno speranze avrà di guarire.
Jacques De Decker, di padre belga e di madre congolese, dal maggio del 2006 è in custodia cautelare in carcere perché accusato di traffico di droga, nell’ambito dell’inchiesta “Uova d’oro” della guardia di finanza. Il caso è approdato da tempo in tribunale e circa quattro volte al mese, in corte d’assise, si svolgono udienze davanti al collegio.
All’inizio di settembre, il detenuto aveva iniziato ad accusare dolori nella zona del fegato. Per questo, si era rivolto al medico del carcere, che aveva disposto una serie di accertamenti. Inizialmente, infatti, si era pensato alla presenza di calcoli biliari, ma durante i controlli, che si sono conclusi alla fine di settembre, è venuta fuori l’amara verità: i medici hanno diagnosticato al cittadino belga un cancro al pancreas.
La gravità di questo tipo di tumore è anche dovuta al fatto che solitamente ha un decorso molto aggressivo e la presenza di sintomi è indice di malattia in fase già avanzata.
Nell’udienza successiva alla diagnosi, all’inizio di ottobre, De Decker aveva chiesto al collegio giudicante di poter tornare in Belgio per essere curato. Alla proposta di andare a Verona, lui si era opposto dicendo di voler essere curato da medici di cui si fida. In Belgio, inoltre, vivono i suoi familiari. Il collegio si era così riservato di decidere. Nell’udienza successiva, il 16 ottobre, il detenuto si era di nuovo rivolto ai giudici, per chiedere cosa avessero deciso. E il collegio aveva rinviato ancora la decisione. Il 23 ottobre, sempre in tribunale, gli avvocati di De Decker, Elias Vacca e Giuseppe Onorato, hanno richiesto al collegio di consentire al loro assistito di partire per il Belgio, per farsi curare e di dare il permesso anche alla moglie, anche lei detenuta a San Sebastiano per lo stesso caso (lei si è sempre dichiarata innocente). Venerdì scorso il collegio ha rigettato la richiesta e ha disposto una verifica da parte di un altro medico. Domani dovrebbe essere dato l’incarico a un perito.
La diagnosi di tumore non è stata fatta da un medico di parte, ma da quello del carcere. “La detenzione di Jacques De Decker non è la conseguenza di una condanna, ma è una misura cautelare. Nelle sue condizioni di salute – hanno detto i legali durante l’udienza -, non ci sarebbe il rischio di fuga e comunque De Decker resterebbe nel territorio dell’Unione Europea. Sempre per via delle sue condizioni, non ci sarebbe il rischio di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove”. La speranza, per il detenuto, è che il medico incaricato dal collegio presenti al più presto la perizia. Ogni giorno di ritardo nel dare il via alla terapia, rischia di tradursi in giorni di vita in meno per Jacques De Decker.