Diffondiamo da Infoaut
Nella giornata di ieri, lunedì 28 agosto, si è tenuto il primo processo che ha visto sul banco degli imputati uno dei tanti arrestati durante le giornate del G20 ad Amburgo, uno degli oltre 30 internazionali detenuti nelle carceri di Amburgo da quasi due mesi in attesa di essere sottoposti a processo. A giudizio ieri è andato un compagno olandese di 21 anni, incensurato, accusato di lesioni personali, attacco ai funzionari dello Stato e di gravi violazioni della pace.
Nonostante l’accusa abbia proposto una pena di 1 anno e 9 mesi di reclusione, la decisione ultima del giudice è stata una condanna a 2 anni e 7 mesi di reclusione senza condizionale, aumentando quindi di quasi un anno la pena detentiva proposta dall’accusa. Il giudice giustifica la sua decisione affermando che questa è in piena conformità con l’inasprimento delle pene varato dal governo tedesco qualche tempo fa, in previsione del G20 e delle manifestazioni contro di esso. Niente di eccezionale o assurdo dunque, solo l’applicazione della legge precedentemente modificata ad hoc per colpire meglio i manifestanti accorsi ad Amburgo per opporsi al G20.
Un altro elemento sconcertante della faccenda è che le accuse rivolte al compagno olandese si basano sulla testimonianza di un poliziotto che dichiara di averlo visto lanciare due bottiglie di birra durante la manifestazione “Welcome to Hell”, una finita sul suo casco, una finita sulla sua gamba. Nonostante non ci sia nessuna prova che questi lanci abbiamo “fatto centro”, se non la sola testimonianza del poliziotto stesso, e nonostante la descrizione del lanciatore fatta dal poliziotto non corrisponda assolutamente alla fisionomia del compagno accusato, il giudice ha emesso la sua sentenza di condanna.
Questa condanna ci dice molte cose. La prima è la conferma, senza mezzi termini, che la repressione legata all’opposizione al G20 ha una natura e una gestione di matrice esclusivamente politica. Politica è la decisione di inasprire le pene, politica è la decisione di tenere in carcere per quasi due mesi più di trenta persone in attesa di processo. La ferita aperta durante le mobilitazioni contro il G20 brucia ancora e, ancora una volta, il sistema prova a rispondere ai colpi subiti aumentando i livelli di repressione. Non è certamente la prima volta che le carte si scoprono.
Non molto tempo fa infatti è stato trovato un video girato dalla polizia tedesca durante una delle manifestazioni contro il G20 che smentisce palesemente la testimonianza del poliziotto che accusa Maria e Fabio di tentativo di lesioni attraverso il lancio di oggetti atti ad offendere. Nonostante questo, Fabio è ancora in carcere a Billwerder e Maria dovrà comunque affrontare il processo per i reati di cui è accusata.
La seconda cosa che la sentenza emessa ieri ci comunica è che tanto è grande la ferita inferta durante le manifestazioni ad Amburgo, tanto più forte sarà il tentativo di rifarsi sui compagni e le compagne che hanno arrestato e che in parte detengono ancora in carcere. Ciò che fino a ieri era un’ipotesi semi abbozzata oggi la possiamo considerare realtà. Questo non deve impaurire nessuno. Questa certezza deve portare tutte e tutti ad assumerci la responsabilità collettiva di quelle giornate, sostenendo e non lasciando soli i compagni in carcere ad Amburgo. La liberazione di chi si trova oggi in carcere dopo le manifestazioni contro il G20 ad Amburgo deve diventare una delle priorità per tutti e tutte, per rompere l’assordante silenzio su questi arresti e soprattutto per rivendicare che le giornate di Amburgo appartengono a tutte e tutti.