Era davvero innocente? E’ questa la domanda che frulla nella testa di tutti coloro ai quali, il gesto disperato di un uomo, fa sempre riflettere.
Si è suicidato Davide Valpiani, condannato all’ergastolo per l’omicidiodi Vincenzo Di Rosa, fratello della sua compagna, avvenuto nel 2005 a Cervia (Ravenna).
Un delitto del quale, fino a due giorni fa, si era dichiarato non colpevole. “Sono innocente, avvocato, la prego faccia qualcosa”, aveva imprecato nellaperiodica telefonata con il suo difensore ravennate Gianluca Alni. E se lo fosse stato realmente?
La testa infilata in un sacchetto e, accanto, il fornellino a gas: è stato trovato morto così, ieri, dalla polizia penitenziaria, riverso sul pavimento della cella, nel carcere di Perugia. Aveva 49 anni e si è suicidato.
Il biglietto ritrovato tra le sue quattro mura e scritto pochi istanti prima di morire era rivolto proprio all’unico contatto esterno che gli era rimasto: “Avvertite l’avvocato Alni”, c’era scritto. Il figlio, trentenne, aveva tagliato qualsiasi relazione con lui da tempo.
Senso di colpa, ripudio nei confronti di una vita da trascorrere in galera o insopportabile disperazione per una pena e un’accusa ingiuste da scontare? A ognuno il beneficio del dubbio.