Una sciarpa che copre il volto per sfuggire all’occhio “invadente” delle telecamere Digos. Una mano sulla bocca per non respirare l’odore acre dei lacrimogeni. O un cappello “tenuto basso” per non essere del tutto riconoscibili: scene classiche da manifestazioni. Scene che da oggi potrebbero essere punite con il carcere. E’ questo, in soldoni, quello che prevede una condanna del tribunale della Procura di Genova che ha disposto pene variabili fra i nove e i quattordici mesi per sette persone accusate di resistenza e “travisamento”.
Gli accusati, sette studenti liguri che parteciparono ad una manifestazione del 30 novembre 2010 contro l’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, sono stati condannati per avere nascosto il proprio volto nelle fasi calde del corteo. Tradotto: la Procura non ha accertato che i sette ragazzi in questione abbiano partecipato a scontri o disordini, dato che nella sentenza non vi si fa riferimento, ma li ha condannati “semplicemente” perché si sono resi non riconoscibili.
Nello specifico, le condanne fanno riferimento ai momenti successivi ad una carica della polizia. Azione che gli agenti non annunciarono, contrariamente a quanto previsto dagli articoli 22 e 23 del Tulps, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che prevede la “intimazione formale al discioglimento di un corteo”. Agli avvocati dei giovani, che avevano puntato su questa “mancanza” da parte delle forze dell’ordine, il pubblico ministero Biagio Mazzeo ha spiegato che “si tratta di un provvedimento desueto e comunque, con tutti i tagli che devono subire le forze dell’ordine probabilmente non avevano neppure la possibilità di portarsi dietro un megafono”.
Insomma, condanna sia. Condanna, giunta pochi giorni fa, che rischia di inaugurare una giurisprudenza alquanto pericolosa. Appare troppo sottile, infatti, il confine fra la giusta necessità di punire i manifestanti facinorosi e l’eccesso di condannare chiunque si renda irriconoscibile durante una manifestazione. Ma non è tutto. Sotto la Lanterna, infatti, sono in corso almeno un’altra decina di indagini su cortei e proteste simili, riguardanti in particolare lo sciopero del 6 maggio 2011 e il corteo del 28 gennaio che vide in piazza studenti e operai al grido di “noi la crisi non la paghiamo”. Le indagini, a questo punto sembra scontato, si chiuderanno con un processo e con altre condanne. Ma anche qui, la procura ligure potrebbe stupire.
Oltre alle “storiche” pene per travisamento, infatti, molti dei ragazzi indagati, fra “anarchici noti” e semplici studenti, rischiano una somma di condanne e quindi il carcere per la “reiterata partecipazione a cortei”. Insomma, i giovani che abbiano partecipato a più di una delle proteste finite nel mirino della procura rischiano le manette, perché colpevoli in più di un’occasione di “travisamento”, anche se i cortei nella realtà non si siano trasformati in guerriglia.
Le condanne di questi giorni, comunque, non stanno stupendo più di tanto Genova, una città che, da due anni a questa parte, ha subito una “gestione giudiziaria della piazza”. Per l’esattezza da quando, un paio di anni fa, il procuratore aggiunto Vincenzo Scolastico elaborò una “griglia” nella quale incrociare date dei cortei, nomi dei partecipanti, denunce e qualsiasi manifestazione dove la Digos avesse ripreso delle immagini. A quanto pare, la “griglia” sta cominciando a dare i suoi effetti.