Si sono perse le tracce in prigione di Nabeel Rajab, il presidente del Centro per i diritti umani del Bahrain condannato a due anni di carcere per aver partecipato a manifestazioni di protesta contro la monarchia (assoluta) al Khalifa. Colleghi e amici di Rajab, uno degli esponenti di punta della società civile bahranita, hanno denunciato ieri che da quattro giorni la moglie, Sumaya, non ha più avuto notizie dell’attivista.
Secondo quanto riferito da altri detenuti politici, Rajab sarebbe stato messo in isolamento per avere protestato per le molestie che subiva da giorni dalle guardie carcerarie. Il ministero dell’Interno si è limitato a comunicare sul suo sito web che Rajab «non è scomparso» e che sta scontando «regolarmente» la sua condanna. Crescono i timori anche per la sorte di un altro attivista dei diritti umani, Naji Fateel, della Società del Giovani del Bahrain, arrestato il 2 maggio e che sarebbe stato torturato sotto interrogatorio.
La monarchia al Khalifa, stretta alleata degli Stati uniti, è tornata ad usare il pugno di ferro dopo aver promosso nei mesi scorsi il «dialogo nazionale» con alcune formazioni dell’opposizione. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati soprattutto gli arresti di blogger e attivisti della rete. A ciò si aggiunge il permesso negato dalle autorità di Manama all’ingresso nel Paese del Rapporteur dell’Onu sulla tortura Juan Mendez, atteso in Bahrain questa settimana. «È stato un colpo durissimo per tutte quelle realtà della società civile che volevano presentare a Mendez un quadro preciso delle violazioni e degli abusi che sono commessi nel Paese», ha detto al manifesto la giornalista Reem Khalifa. «Purtroppo – ha aggiunto Khalifa – dobbiamo constatare la scarsa attenzione del mondo verso la lotta che il popolo del Bahrain porta avanti da anni in nome della democrazia e dei diritti».