Nel carcere di Pavia tre detenuti hanno tentato il suicidio in 24 ore

Nel carcere di Pavia tre tentativi di suicidio in un solo giorno. Tre giovani carcerati rinchiusi a Torre del Gallo, la casa circondariale alla periferia Est della città, hanno tentato di togliersi la vita. La prima richiesta di soccorso dal penitenziario alla centrale del 118 è partita venerdì intorno alle 11.30: un detenuto nordafricano di 24 anni era stramazzato a terra in cella, privo di sensi. Non sopportava più la vita dentro il carcere, così ha preso la bombola da cucina, fornita in dotazione per l’uso del fornelletto, e ha inalando gas metano per diversi minuti. Ad avere avuto la peggio, dei tre, è stato proprio lui. Il 24enne, ricoverato a seguito della forte intossicazione, versa in gravi condizioni nel reparto di rianimazione del San Matteo.

Poco prima di mezzanotte, la

seconda chiamata dal penitenziario di via Vigentina. Questa volta sono state le guardie, durante il giro di controllo tra le celle, ad accorgersi di quanto stesse accadendo. Un’altra storia di insofferenza e disagio: un giovane detenuto di 25 anni stava tentando di impiccarsi con della biancheria alle sbarre. Gli agenti lo hanno fermato giusto in tempo, per poi scortarlo in ospedale dove è stato ricoverato per le cure mediche. Se la caverà con qualche giorno di prognosi. Una sequela preoccupante culminata nel primo pomeriggio di ieri, quando un carcerato di 27 anni ha provato a recidersi la vena femorale con una lametta. Il ragazzo sarebbe svenuto vedendo il sangue uscire, evitando così di andare a fondo. Il terzo a finire in ospedale per lo stesso disperato motivo.

Il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, e il Provveditorato alle Carceri, esprimono forte preoccupazione: a Pavia 130 detenuti di troppo e 50 agenti in meno. «Nel penitenziario pavese riscontriamo problemi di grosso sovraffollamento — spiega Luigi Pagano, Provveditore alle carceri per la Lombardia —. La struttura comprende anche un polo psichiatrico; situazioni delicate già in partenza. Siamo sotto organico e gli agenti fanno il possibile. Non sempre arrivano in tempo, purtroppo».

Per il sindacato, invece, la colpa è della vigilanza dinamica, di quelle «celle aperte» che permettono ai detenuti di agire indisturbati. «Questo è il prezzo che paghiamo per una scellerata politica penitenziaria che ha lasciato i detenuti senza nessun controllo — spiega Donato Capece, segretario generale Sappe —. Il ministro deve fare marcia indietro: bisogna tornare alla politica penitenziaria statica, con le guardie tra le celle 24 ore su 24. Senza sorveglianza i tentativi autolesionistici aumentano a dismisura. Quando non ci scappa il morto».

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