Giustizia: il gran business del vitto in carcere

vitto carcerePer il cibo di ogni detenuto si spendono 3,90 euro al giorno: una somma che deve garantire tre pasti quotidiani. L’alimentazione dei carcerati costerà 390 milioni in quattro anni. Ma gli appalti top secret non tengono conto della diminuzione dei reclusi. Ecco il dossier della Corte dei Conti.

Lo Stato spende al massimo tre euro e 90 centesimi al giorno per i pasti dei detenuti. Una cifra che non lascia spazio alle illusioni sul vitto che l’amministrazione garantisce ai reclusi nelle prigioni italiane. Eppure alla luce del numero si persone custodite nei penitenziari, l’importo complessivo diventa impressionante: nei quattro anni dal luglio 2013 allo stesso mese del 2017 il costo sarà di 390 milioni di euro.

A rivelarlo è la Corte dei Conti nel dossier appena reso noto sui contratti segretati. Sì, perché anche gli appalti per il cibo dei detenuti sono top secret e quindi seguono procedure diverse rispetto alle gare pubbliche. In realtà, grazie alla competizione al ribasso tra fornitori, il valore di quello che arriva nei piatti ogni giorno è addirittura inferiore: si va dai 3 euro e 77 centesimi del Piemonte ai 3,60 della Liguria ai 3,58 di Padova, il minimo assoluto.

Unica eccezione la Gorgona, l’isola toscana dove per i problemi di rifornimento via mare l’amministrazione è costretta ad aumentare il budget quotidiano fino a 4 euro e mezzo. La media nazionale si attesta sui 3,70 euro quotidiani, che devono coprire le necessità alimentari dall’alba al tramonto.

Fin troppo facile fare un confronto con i prezzi correnti. Nel centro di Milano con la stessa somma si riesce a fare un’abbondante colazione del mattino: cappuccino e due brioche, lisce perché la farcitura farebbe saltare il preventivo. A Roma ci si potrebbe saziare con tre tramezzini. I menù promozionali “salva euro” di McDonald’s offrono un pasto di gran lunga più sostanzioso: si possono acquistare due cheese burger e una porzione di patatine fritte, anche se una dieta del genere ripetuta per anni potrebbe avere effetti deleteri per il fisico.

Forse uno dei tanti show televisivi dedicati alle competizioni tra chef potrebbe lanciare una puntata speciale: riuscire con 3,70 euro a riempire i piatti per un’intera giornata. Nessun detenuto riesce a sfamarsi con quello che offre lo Stato. Ed ecco che ricorrono all’extra vitto: alimenti da acquistare negli empori interni agli istituti, con prezzi in genere gonfiati. Un ottimo business per le aziende che li gestiscono e che sono le stesse incaricate della ristorazione: un meccanismo che sembra in qualche modo incentivare il risparmio sulle porzioni ufficiali, per incentivare lo shopping parallelo.

Un’altra riflessione nasce dal confronto tra la spesa per il cibo e il costo complessivo a carico dello Stato per ogni giorno di detenzione: i dati ufficiali dell’amministrazione penitenziaria sostengono che si tratti di 124 euro quotidiani. Tolti i pasti, si tratta di 121 euro, destinati alle strutture di custodia, al personale di vigilanza, all’assistenza medica e alla burocrazia e alla rieducazione. Una voce, quest’ultima, che resta trascurata nonostante la nostra Costituzione la indichi come la funzione principale del carcere. L’alimentazione di un’omicida condannato a 30 anni viene a costare 40.515 euro, mentre la collettività spenderà un milione e 325 mila euro per gli altri costi della pena che deve scontare: due numeri che statisticamente dimostrano l’inefficienza del nostro sistema.

Le tabelle della magistratura contabile hanno però alcuni aspetti singolari. Uno su tutti: il numero dei reclusi viene considerato stabile. Nel secondo semestre 2013 vengono calcolati 12 milioni di giorni/presenza il che equivale a circa 65 mila detenuti da sfamare. Lo stesso accade per gli anni successivi, incluso il 2017.

Ma oggi in cella ci sono “soltanto” 54 mila persone, seppure richiuse negli spazi previsti per 49 mila. E la differenza? Dove vanno a finire i pasti già pagati dallo Stato?

Certo, gli appalti vengono programmati sul lungo termine e non si può improvvisare una ristorazione di massa. Ma le variazioni nella popolazione carceraria sono sempre state sensibili. Negli ultimi mesi le prigioni si sono svuotate parecchio: da aprile a ottobre si contano cinquemila detenuti in meno, per effetto della sentenza della Consulta sulla legge Giovanardi-Fini che ha fatto tornare in libertà tanti piccoli spacciatori e per una intensificazione delle misure alternative al carcere.

Anche nel dicembre 2013, all’inizio dei contratti firmati del ministero della Giustizia, i reclusi erano 62.500, con una situazione di sovraffollamento pesantissima: 2.500 in meno dal numero indicato negli accordi per le forniture. Se la tendenza rimanesse invariata, per i prossimi due anni lo Stato continuerebbe a garantire pasti a 11 mila detenuti fantasma: quasi 30 milioni di euro buttati via.

La Corte dei Conti scrive che i Provveditorati, da cui dipendono gli istituti di pena di una regione, possono stipulare uno o più contratti successivi, nell’ambito dei quattro anni, “tenendo conto delle variazioni medie della popolazione carceraria”. C’è da augurarsi che lo facciano. La segretezza imposta su queste forniture impedisce il controllo, affidato alla sola magistratura contabile. Una riservatezza che nasce “dall’incidenza (della ristorazione ndr) sull’intera attività svolta all’interno dei penitenziari. Tanto da potere generare ripercussioni negative sull’ordine e la sicurezza, sia in ragione della particolarità dei luoghi (locali posti all’interno della struttura penitenziaria) dove trova esecuzione l’attività, sia dei destinatari del servizio”.

La necessità di gestire gli appalti nella massima sicurezza è indubbia, con il controllo sul personale addetto alle cucine per “limitare il veicolamento di oggetti illeciti o non consentiti tra la popolazione detenuta nonché il rischio di collegamenti con la criminalità organizzata”. Ma siamo certi che tutti i 205 istituti penitenziari debbano essere sottoposti a un regime così rigido? Non è possibile che in una parte di essi, dove si trovano persone meno “pericolose” almeno le forniture di pasti possano essere gestite con più trasparenza?

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