Caso Aldrovandi,il processo a due giornalisti

condanne-per-la-morte-di-federico-aldrovandiMANTOVA. Oggi in tribunale a Mantova è in calendario un processo diverso dagli altri. All’apparenza uno dei tanti casi di diffamazione che vede sul banco degli imputati giornalisti e, come presunte vittime, una varia umanità. Questo però e diverso. Alle 12, dopo vari rinvii, inizierà il processo contro l’ex direttore Paolo Boldrini e il cronista Daniele Predieri della Nuova Ferrara accusati di aver diffamato l’ex pm Mariaemanuela Guerra, prima titolare delle indagini sulla morte di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni ucciso da quattro poliziotti durante un controllo.

Perché è diverso dagli altri? Perché in questi giorni il caso, che si è chiuso con la condanna a tre anni e sei mesi dei quattro agenti, si è riaperto per il vergognoso applauso agli stessi durante il congresso del sindaco di polizia (Sap) a Rimini. Una dimostrazione allarmante, l’ennesima, di come apparati dello stato tendano a muoversi come un branco, preoccupati solo di salvare se stessi e calpestando le leggi.

Lo Stato che uccide e poi deride le sue vittime. Uno scandalo che, purtroppo, ha dei precedenti in Italia, a partire dal G8 di Genova e dalla “macelleria messicana” alla caserma Diaz per finire con i casi Cucchi, Uva ecc. Persone finite per varie ragioni nelle mani di uomini dello Stato e usciti in una bara. Non ci sono mai colpevoli quando si tratta di cariche delle forze dell’ordine perché gli uomini non sono identificabili. Ragazzi calpestati e scambiati per zaini, altri manganellati.

Non è stato nessuno, non è successo. Domani in Tribunale a Mantova, lo stato è chiamato a giudicare un funzionario dello stato, più volte criticato dalla famiglia Aldrovandi per non aver dato impulso alle indagini che hanno seguito la pista di un’inesistente overdose e non quella giusta del pestaggio. I giornalisti sono imputati per aver raccolto lo sfogo di una madre che ha lottato per far emergere la verità e per aver espresso un giudizio negativo sull’operato di una pm.

Nel suo libro “Una sola stella nel firmamento” Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, scrive a proposito della Guerra: “Era lei il pubblico ministero di turno la mattina del 25 settembre. Era lei che avrebbe dovuto esserci in via Ippodromo. Ma non c’era. Invece mi ha querelato, ma alla fine di tutto, dopo il processo d’appello addirittura. A storia conclusa, quando il suo ruolo in questa vicenda era ormai superato, dimenticato da tutti, sicuramente dalla cronaca. E invece lei ha querelato, non solo me. Ha querelato a 360 gradi dirigenti della Questura, poliziotti, giornalisti, chiunque in quel periodo nel processo avesse parlato di lei.”

Poi cita un incontro dell’autunno del 2005, dopo la morte di Federico, quando la pm disse a lei e al marito Lino: “Io so sempre dov’è mio figlio”. Per la cronaca suo figlio, Mattia Carrà, è stato condannato in primo grado nell’ambito dell’inchiesta “Bad Boys” per spaccio di stupefacenti a minorenni. Notizia che i giornalisti che oggi sono alla sbarra hanno scritto sulla Nuova Ferrara, senza sconti. Da oggi in poi la libertà di stampa in Italia si misurerà anche da questa sentenza.

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