La donna è stata condannata a 11 anni di carcere per alcune frasi scritte su Twitter. Il suo nome è Huda al-Ajmi, ha 37 anni, di professione insegnante. Huda al-Ajmi è anche una blogger: i tweet che le sono costati 11 anni di carcere erano rivolti contro l’emiro Sheik Sabah al-Ahmad al-Sabah. La sentenza è stata proclamata in Kuwait, nazione che di certo non è considerata fra le più estremiste fra quelle presenti nel Medio Oriente.
Huda al-Ajmi aveva protestato contro l’emiro per la sua condizione di immunità e inviolabilità sancite dalla Costituzione.
La condanna di 11 anni è la risultante di ben tre capi d’accusa: 5 anni per insulto all’emiro, 5 per istigazione al rovesciamento del suddetto emiro e infine un anno per “cattivo utilizzo” (?) del cellulare.
La pena non potrà essere sospesa: Huda al Ajmi dovrà iniziare a scontare la sua condanna a 11 anni da subito, nell’attesa che il suo appello venga accolto.
In Turchia, intanto, continuano gli arresti causati da tweet sgraditi al regime di Erdogan: altri tredici giovani sono stati incarcerati per dei messaggi scritti sul social network.
Ecco dove si arriva con il controllo del Web.
Riflettetici quando in Italia una radical chic fa i capricci perché qualcuno la insulta su Twitter o Facebook, tirando furbescamente in ballo la violenza contro tutte le donne, oppure quando un giornalista fa la primadonna bizzosa e abbandona Twitter, chiedendo che sia possibile utilizzare il social network solo con nome e cognome.
Twitter è lo strumento principale di comunicazione fra i contestatori di Erdogan in Turchia (e in altri scenari analoghi nel mondo) proprio perché, al contrario di Facebook, sono più diffusi account celati sotto pseudonimi.
I dissidenti di un regime hanno paura, con il nome e cognome scritti nel loro profilo, nell’usare Facebook per esprimere il proprio malcontento nei confronti del leader turco.
Essere tutti schedati, controllati, spiati, registrati (vedi scandalo Verizon in Usa, ormai esteso anche ad Apple, Facebook, Google, ecc) è nell’interesse di chi vuole tenere ben congelato lo status quo.
La rete può essere un mezzo di comunicazione, uno strumento di conoscenza e quindi di libertà: nell’ignoranza non si può essere liberi.
Oppure la rete può essere una trappola, un mostruoso apparato attraverso il quale ci lasciamo controllare dal potere, mentre chattiamo, twittiamo (avendo cura di non offendere nessun emiro) e clicchiamo ‘mi piace’ qui e là.
Scegliete voi cosa preferite.