adnkronos.com, 20 febbraio 2017
L’attesa è finita: i primi profili genetici sono stati inseriti nella Banca dati del Dna e ora si attende il “match” che potrebbe risolvere un caso o riaprirne uno irrisolto. L’obiettivo del progetto, istituito con una legge nel giugno 2009 ma operativo solo da poche settimane, è quello di raggiungere i risultati di chi da anni dispone di questo strumento: nel Regno Unito il 62% dei dati inseriti ha restituito un legame tra la traccia trovata sul luogo di un crimine e il possibile autore.
Semplice intuire le potenzialità del “cervellone” interforze: in Italia sono oltre 2,4 milioni i reati registrati nelle ultime statistiche ufficiali del Ministero dell’Interno (dal 1 agosto 2015 al 31 luglio 2016), di cui circa 32mila rapine e oltre 1,3 milioni furti. L’impiego potrà rivelarsi utile anche per omicidi, ricerca di persone scomparse, “cold case” e lotta al terrorismo.
“A fine gennaio – annuncia all’Adnkronos Egidio Lumaca, Primo dirigente tecnico della Polizia scientifica – abbiamo immesso il primo profilo. Si tratta di una banca dati con finalità giudiziarie, l’inserimento di ogni informazione genetica deve essere autorizzato dall’Autorità Giudiziaria”.
I tamponi salivari da cui estrarre il Dna, raccolti dal 10 giugno 2016 sono circa 30.000 tra detenuti e chi ha commesso reati, ma presto anche il resto della popolazione carceraria sarà sottoposta a prelievo. Il Dna ottenuto viene confrontato con quello estrapolato dalle tracce rinvenute sulla scena del crimine, attualmente sono stati inseriti in banca dati alcune decine di profili, ma presto diventeranno centinaia e poi migliaia. A ogni profilo genetico viene associato un codice alfanumerico, se due profili combaciano c’è il “match”, ma chi accede al sistema non trova un nominativo ma quei codici che per ragioni di sicurezza saranno decodificati in un momento successivo.
Complesse misure per rendere inattaccabile il sistema e rispettare la privacy. La polizia penitenziaria raccoglie i tamponi salivari dei detenuti, invece la polizia, i carabinieri e la guardia di finanza raccolgono quelli di chi è ai domiciliari, a esclusione dei reati meno gravi per i quali non è previsto il prelievo. La Polizia Scientifica o il Ris analizzano e valutano invece i profili genetici sconosciuti estratti dalle “prove” del crimine, cioè dal materiale biologico rilasciato sulla scena.
Le tracce vengono analizzate in laboratori accreditati a norma Iso 17025, che garantisce la competenza del personale, dei processi, delle prove eseguite e assicura la tracciabilità di ogni fase di lavoro. Se il Dna su una sigaretta trovata su un luogo di una rapina combacia con quello di un soggetto già inserito in banca dati, solo allora si potrà chiedere all’Afis, la banca dati delle impronte digitali che ha generato il codice anonimo del profilo genetico, di decodificare quel codice fornendo nome e cognome.
“Il profilo del Dna di ciascun individuo – sottolinea Egidio Lumaca – ha caratteristiche che lo rendono praticamente unico, con la sola eccezione dei gemelli identici, e ci consente di identificare con certezza una singola persona. Tanti più dati verranno inseriti, maggiore sarà la possibilità di trovare un ‘match’, il che non vuol dire automaticamente risolvere un caso, ma identificare in modo certo colui che ha rilasciato la propria traccia biologica sulla scena del crimine. Possiamo dire che dall’esito positivo del confronto tra traccia e soggetto può partire con più forza una nuova indagine alla ricerca del colpevole”.
L’esperienza – il Regno Unito si è dotato nel 1995 di un banca dati, nel 2004 le corrispondenze tra profili erano pari al 45% e sono salite al 62% nel 2014 – “ci dice che la banca dati di per sé non diminuisce il tasso di criminalità, ma sicuramente incide sui reati seriali e sul numero di risoluzioni. Un deterrente forse meno efficace per i delitti d’impeto come molti omicidi, ma sapere che esiste potrà comunque avere un effetto preventivo”.
La banca dati del Dna – l’Italia sta cercando di recuperare i ritardi rispetto agli altri Paesi – consentirà all’autorità giudiziaria di chiedere confronti con profili genetici delle omologhe banche dati estere “intensificando l’interscambio di informazioni che è fondamentale”. Il “cervellone” con profili genetici “sarà utile soprattutto per aiutare nella risoluzione di reati seriali, come i furti o le rapine”, sottolinea il direttore della divisione dove operano i laboratori biologici della Polizia Scientifica.
“Probabilmente la banca dati aiuterà a risolvere anche alcuni “cold case”, ma il valore della banca dati si misurerà principalmente negli anni futuri, quando si arricchirà di sempre più numerosi dati. Oggi le tecniche consentono di ottenere ben più dei 10 marcatori genetici, considerati il numero minimo per avere la sicurezza di identificazione; mentre in passato – conclude – si disponeva di un numero inferiore di informazioni, che portava ad esprimere solo un giudizio di compatibilità, ma non di certa identità”.