MONZA – Grazie ad un agente di Polizia penitenziaria corrotto, un detenuto nel cercere di Monza riusciva a spacciare droga all’interno dell’istituto di pena. I carabinieri di Milano hanno accertato tutto e li hanno ammanettati entrambi.
L’ordinanza di custodia caustelare è stata emessa giovedì dal gip presso il tribunale di Monza nei confronti di P.S., detenuto italiano di 33anni e di F.M., 40enne, assistente capo del Corpo della Polizia penitenziaria, in servizio presso la Casa
Circondariale di Monza. Sono entrambi ritenuti presunti responsabili di concorso in detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio e corruzione.
L’indagine, condotta con il prezioso contributo del personale della Polizia penitenziaria dello stesso Carcere di Monza, e coordinata dalla Procura della Repubblica brianzola, ha avuto origine nell’aprile del 2015 quando, durante una perquisizione presso una delle celle, era stata rinvenuta una Sim Card utilizzata da alcuni detenuti per effettuare comunicazioni non autorizzate con l’esterno.
Sono partiti gli accertamenti che hanno consentito di ricostruire una serie di comunicazioni tra cui, in particolare, quelle indirizzate ai familiari di un detenuto – colpito dall’odierno provvedimento restrittivo – ed acquisire alcuni input informativi circa un “giro” di spaccio all’interno dell’istituto di pena, presumibilmente gestito e riconducibile al suddetto detenuto.
Le indagini, svolte dai militari del Nucleo Investigativo Carabinieri di Milano, condotte anche attraverso delle intercettazioni, hanno permesso di ricostruire il commercio illecito del detenuto, facendo emergere come questi ricevesse l’hashish (un panetto di circa 100/150 gr. ogni mese/due) grazie alla complicità dell’Assistente Capo infedele oggetto del medesimo provvedimento restrittivo.
Il complesso meccanismo di rifornimento della droga e di remunerazione dell’agente penitenziario è stato ricostruito in maniera dettagliata: inizialmente il detenuto impartiva precise istruzioni ai suoi genitori affinché ricevessero, presso il loro panificio di Quarto Oggiaro l’agente, che veniva indicato come “l’uomo delle focacce”, cui dovevano consegnare il denaro necessario ad acquistare lo stupefacente. Successivamente, ricevuto il panetto in carcere e verificato che le cose fossero andate correttamente, il detenuto consegnava all’arrestato una parola in codice (“Ogan”) con la quale recarsi nuovamente al forno per ritirare il prezzo della corruzione, ammontante a 300 euro.
Nel corso delle attività investigativa è emersa un’ulteriore condotta penalmente rilevante a carico dell’Assistente capo. Egli deve rispondere anche di truffa aggravata e di falso ideologico; infatti, tra l’ottobre ed il dicembre 2015, si è assentato indebitamente ed in più occasioni dal servizio, per recarsi in Puglia, presso la propria abitazione, adducendo inesistenti motivi di salute documentati da una serie di certificati di malattia viziati dalla falsità ideologica.
Al riguardo, gli accertamenti svolti dagli inquirenti, hanno permesso di ricostruire come l’Assistente Capo si sia assentato per malattia, dall’inizio del 2013 sino a fine 2015, per 502 giorni, presentando ben 53 certificati medici.
Nella truffa aggravata e nel falso ideologico è coinvolto un medico di famiglia monzese che, al contrario di altri suoi tre colleghi, ha rilasciato i certificati con la consapevolezza della “finta” malattia. La sua posizione è al vaglio dell’Autorità giudiziaria. L’agente di custodia, all’atto del suo arresto, si trovava presso la sua abitazione di Barletta in malattia e per sua esplicita richiesta è stato condotto presso l’istituto di pena militare di Santa Maria Capua Vetere.