riceviamo e diffondiamo:
Lettera aperta a…
… CHI ABBIA ANCORA VOGLIA DI LEGGERE E ANDARE DAVVERO AL FONDO DELLA BRUTTA STORIA DI DUE COLLABORATORI DI GIUSTIZIA, un uomo e una donna, che hanno deciso da soli di autoassolversi e di ripresentarsi fra i compagni contando probabilmente su una loro assenza di memoria.
È naturale che i più vecchi fra noi, quelli che purtroppo hanno pagato e continuano a pagare le esternazioni infami che hanno riempito le aule dei tribunali negli anni Ottanta, abbiano ancora questa memoria, anche se con dignità non vanno in giro a sbandierarla.
Ci sono tuttavia situazioni che riportano indietro nel tempo e che obbligano ad uscire dal silenzio. Non per spirito di vendetta, ma per impedire, se possibile, il ripetersi di vicende che fanno brutto, come si dice oggi. Questa è una di quelle, perché a causa di questi due personaggi, si è venuta a creare una frattura fra compagni. (1) (2)
I due soggetti dovrebbero prendere in considerazione la possibilità-necessità di togliersi dalle palle. Perché non se ne vanno all’estero? Adesso che il capofamiglia ha ottenuto la “riabilitazione”, può andarsene in giro per l’universo creato dove troverà sicuramente qualcuno cui spiegare perché lo ha denunciato.
Va bene chiedere perdono ai famigliari delle proprie vittime, ma non sarebbe fuori luogo spendere una parola di rammarico per quelli che ha mandato in carcere o spedito oltre frontiera per anni, che in alcuni casi durano ancora. Ma ovviamente scusarsi con latitanti o carcerati non comporta nessun beneficio premiale, quindi si tratta di una inutile perdita di tempo.
Nei tribunali, furono i collaboratori di giustizia a istruire i processi, si concessero l’arbitrio di condannare molti o “assolvere” alcuni, autopromuovendosi da imputati a giudici, a déi. Sicuramente déi di infimo ordine, ma sempre in grado di esercitare un discutibile potere sulla vita altrui.
La donna dice di essersi “solo” dissociata, come fosse un peccato veniale. Deve essersi dimenticata di quell’intervista dove affermava: “Io mi sono pentita, se vogliamo usare questo termine, in nome di cosa dovevo farmi 15 anni di galera?”
Stiamo parlando dei genitori di un compagno della Latteria occupata di Milano. Sospetta risulta la loro ostinazione nel volersi assolutamente infiltrare fra i compagni frequentati dal figlio. Forse hanno pensato che il loro percorso di reinserimento sarebbe stato più facile. Come si vede, continuano a usare lo stesso modus operandi, farsi strada sulle spalle degli altri.
E intanto passo dopo passo, si è arrivati all’incredibile situazione che si sia chiesto ai compagni che hanno segnalato la loro qualità di collaboratori di giustizia, di fornirne le prove. Almeno quelle sulla donna, perché sull’uomo non ci piove. Compito più sgradevole non ci poteva essere affidato. E queste prove non erano mai sufficienti. C’è una forte resistenza ad accettare che anche lei abbia collaborato, forse perché ha avuto molto tempo per cucirsi addosso la divisa della compagna.
E adesso che ulteriori prove sono state trovate? Cosa dovremmo fare, renderle pubbliche per evitare che questa vicenda finisca nel dimenticatoio? Ci sarebbe bastato che si fosse creduto alla nostra parola accompagnata dal dispositivo di sentenza (4), ma così non è stato.
Non era così che avevamo pensato al passaggio di testimone. Abbiamo provato a sollevare il problema anni fa, in modo del tutto interlocutorio, ma ci siamo trovati di fronte ad una palpabile insofferenza: alzatine di spalle, ma chi se ne frega, insomma sono storie vecchie, bisogna voltare pagina…
Eh sì, ma prima di voltarla, la pagina, almeno bisogna leggerla, perché è importante ricostruire la propria storia, per potere smettere di guardarsi indietro. A meno che i protagonisti di oggi non ci ritengano parte della loro storia, ma allora bisogna avere il coraggio di dirlo.
Continuando con le frasi fatte: è straordinario come il loglio proliferi a scapito del miglio.
Si legge nel comunicato (che razza di termine!) della esemplificata “Latteria” (3) che l’infame al maschile si è presentato almeno una volta in occasione di una festa di compleanno.
Allora, se si vuole imbastire una discussione seria, intanto bisogna essere sinceri, l’individuo in questione si è manifestato più volte nei dintorni e in occasioni meno festaiole di un semplice compleanno. Ed è sempre stato allontanato da altri compagni.
Il “Non succederà più” è una dichiarazione di principio. C’è solo da sperare che vada davvero così. Nel frattempo, per quanto ne so, il secondo caso rimane aperto. Se la donna si presenta in Latteria, mentre sono state spese fin troppe energie a cercare prove del suo comportamento processuale, prove che lei sostiene di non potere più fornire, teoricamente è libera di entrare e visto che dichiara di essere una compagna, di frequentare appunto i compagni.
L’apparizione in questo scenario dell’avvocato Steccanella, aumenta solo il conflitto invece di sanarlo. Lui interviene da avvocato in una discussione prettamente politica e invece di strumenti di comprensione batte sul tavolo articoli del Codice Penale, peraltro usando in modo erroneo la temporalità delle leggi.
Cerchiamo di essere seri. Le hanno applicato l’articolo 3 comma 1 della legge sui collaboratori di giustizia, legge 304/02, quindi lei deve essere ritenuta tale. Ma secondo l’avvocato Steccanella, oltre l’articolo 3 c’è appunto il 1° comma , quindi si tratterebbe di una pentita ma non troppo, al massimo una specie di dissociata ante litteram, visto che la legge sulla dissociazione ancora non c’era.
Chi ha beneficiato della legge 304/82 non può non avere contribuito alla cattura o alla condanna dei propri (o altrui) ex compagni, in misura variabile sino al contributo eccezionale del 2° comma dell’articolo 3, e comunque anche quelli del 1° comma non sono assimilabili ai dissociati del 1987, i soli per i quali non è previsto il contributo delatorio.
Per la legge 304/82 è sufficiente la chiamata di correo, e la sentenza, come si legge nel dispositivo dà atto che la donna ne ha fatto uso in più di una occasione.
E non venite a raccontare che era solo ammittente, in quegli anni si moriva anche per questo, (e non è un vanto, è doloroso ammetterlo). Lei è viva, le è andata bene, dovrebbe accontentarsi.
Ma poi cosa cambia rispetto al suo frequentare o no i compagni?
Torniamo all’avvocato Steccanella che gode di stima nazionale. È evidente che si sta prendendo a cuore l’intera famiglia: dopo la riabilitazione ottenuta per il padre, adesso gli tocca difendere la madre che, a quanto dice, si sarebbe sacrificata su richiesta di altri (ma chi? Anche noi possiamo chiedere conferme, e lo abbiamo fatto).
Dice l’avvocato che “Coniglio” Ferrandi è un caso umano. Non è vero. Casi umani sono quelli che lui ha denunciato, ma essendo questi già carcerati o latitanti, era stato facile raschiare il barile della sua memoria per arrivare più in fretta all’ottenimento dei benefici previsti dalla legge.
Parlare della madre è invece più difficile, evidentemente è rimasta ingabbiata nelle sue stesse menzogne, ma trasformare il suo comportamento in una azione purificatrice, escatologica è davvero eccessivo. Sembra piuttosto scatologico e doppiamente orrendo: ha già mentito al figlio e ora lo usa come ariete per sfondare il muro di sospetti che le si è alzato intorno.
Ma ogni giorno si porta dietro la sua pena.
Bisogna spendere due parole sul figlio che ha messo in circolazione uno scritto che secondo lui potrebbe servire alla discussione (5).
In quel testo non c’è una riga sulla quale essere d’accordo, nessuna convergenza possibile. L’autrice è forse ignorante dei fatti o si è confusa con un’altra storia, ma allora perché il figlio, fra i tanti messaggi che devono essere arrivati, ha scelto di diffondere proprio quello?
Mi contenterò di restare nel dubbio, sperando che il contributo di cui sopra non trovi cittadinanza nel dibattito. E’ il momento di prendere atto che ci sono casi e cause indifendibili.
Firmata da uno che a suo tempo è stato denunciato dal suddetto collaboratore di giustizia ora riabilitato.
Gianni
Milano, 25 novembre 2014
(1) http://www.informa-azione.info/milano_affinch%C3%A9_riprenda_il_passaggio_di_testimone
(2) http://www.informa-azione.info/milano_comunicare_fa_male
(3) http://www.informa-azione.info/milano_comunicato_dei_compagni_della_latteria
(4) Vedi allegato
(5) http://piemonte.indymedia.org/articolo/21548/unopinione-su-infami-e-dissociati
ALLEGATO: dispositivo sentenza Rosso Tobagi 1983 (.pdf)