L’elenco dei pestaggi di Stato è lungo. Il conto di chi ha pagato è misero da Aldrovandi a Bianzino, da Uva a Magherini: le battaglie dei familiari.
Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Riccardo Magherini. Quando la mente prova a ricordare i nomi di tutti gli uomini morti mentre si trovavano nelle mani dello Stato, ce n’è sempre qualcuno che sfugge, e non certo per dolo. La lista è troppo lunga.
E quelli che conosciamo, forse, non sono neanche tutti, perché se li conosciamo è solo per il merito, la tenacia e il coraggio delle loro famiglie, eroiche nel mostrare cosa lo Stato ha fatto ai loro cari e contemporaneamente nel mettersi contro quello stesso Stato. Ci vuole fegato nel sapere che si sta andando verso il massacro e che tutta quella battaglia di giustizia si risolverà in un nulla di fatto. Già, perché è questo quello che viene da pensare. Perché di fronte a quella lista così lunga di morti ammazzati, il conto di chi ha pagato si tiene in una mano. Come un pugno di mosche.
Il primo fu “Aldro”, e non perché fu il primo a morire, il 25 settembre 2005 a Ferrara, ma perché fu il primo a guadagnarsi le pagine dei giornali, dopo una battaglia instancabile di sua mamma Patrizia. Aldro aveva 18 anni quando incontrò la polizia: Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri non si accontentarono di mettergli le manette. Tre anni e sei mesi di reclusione per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”, sentenzia la Cassazione nel 2012. Tutti beneficiari dell’indulto, tre di loro rientrati in servizio a gennaio 2014.
“È stato morto un ragazzo”, il documentario di Filippo Vendemmiati che narra la sua storia.
Riccardo Rasman viene ucciso a Trieste il 27 ottobre 2006. È disabile psichico, ha una sindrome schizofrenica paranoide dopo atti di nonnismo durante il militare. Il destino ha voluto che a togliergli la vita siano state, ancora, delle divise. Sta lanciando petardi dal balcone, finisce a terra, ammanettato e coi piedi legati col fil di ferro. Soffoca. Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi vengono condannati in via definitiva a sei mesi di reclusione.
Il falegname Aldo Bianzino è morto nel carcere di Perugia il 14 ottobre 2007, a 44 anni. Gli hanno trovato in casa una coltivazione di canapa indiana, sul cadavere la famiglia trova invece quattro ematomi cerebrali, fegato e milza danneggiati, due costole fratturate. Nell’aprile di quest’anno per quella morte ha pagato solo – in appello – Gianluca Cantoro, l’agente penitenziario condannato a 12 mesi per omissione di soccorso.
Giuseppe Uva dopo sei anni non ha ancora un assassino. Dal 14 giugno 2008, infatti, la Procura di Varese non è stata in grado, se non poche settimane fa, di ottenere un processo. “Pino” è morto in ospedale dopo una notte nella caserma dei carabinieri, dove era finito per aver spostato alcune transenne in strada. Dopo un inutile processo al medico che gli aveva somministrato i farmaci, adesso si apre il dibattimento a carico dei quattro militari presenti quella notte. Ci sono voluti sei anni e la prescrizione è vicina.
Michele Ferrulli ha perso la vita il 30 giugno 2001 a Milano. Faccia a terra, manette ai polsi. Intorno a lui quattro agenti, intervenuti perché il manovale 51enne faceva casino in strada con la musica troppo alta. Secondo i giudici della Corte d’assise, che hanno emesso poche settimane fa la sentenza di assoluzione in primo grado, i colpi inferti all’uomo dai poliziotti sarebbero stati necessari per vincere la sua resistenza.
Dino Budroni, 30 anni, è stato ucciso sul Raccordo Anulare di Roma il 30 luglio 2011, al termine di un inseguimento. A sparare con la pistola d’ordinanza è stato un poliziotto, che pochi mesi fa in primo grado è stato assolto. Il Tribunale ha fatto cadere l’accusa di eccesso colposo di uso legittimo delle armi. Il pubblico ministero ha ora avanzato la richiesta di appello.
Riccardo Magherini è morto anche lui faccia a terra, la notte tra il 2 e il 3 marzo di quest’anno a Firenze. Sopra di lui c’erano quattro carabinieri. Riccardo non aveva 40 anni, aveva un figlio di due e chiedeva aiuto. All’inizio di ottobre il pm ha chiuso le indagini: i militari e tre volontari della Croce Rossa sono accusati di omicidio colposo. La speranza è che almeno nel suo caso la giustizia possa trovare casa in Tribunale.