Nella consapevolezza che il sovraffollamento, ben lungi dall’essere superato (21mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari), ha deteriorato le condizioni di vita dei detenuti, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria cerca di porvi riparo istituendo i regimi aperti di detenzione.
È dei giorni scorsi la Circolare G-DAP 0206745-2012 a firma del capo del Dap Giovanni Tamburino che cerca di spingere verso una regionalizzazione della esecuzione della pena e verso la moltiplicazione di esperienze positive come quella di Bollate a Milano dove i detenuti sono liberi di circolare nella proprie sezioni e non costretti a stare, come accade in buona parte delle prigioni italiane, per venti ore e passa chiusi in cella a non far nulla.
Un tentativo che fa seguito a quello ardito e rimasto sulla carta di qualche mese fa – circolare n. 3594-6044 del 25 novembre 2011 – con il quale ogni detenuto veniva associato a un colore e da quello sarebbe successivamente dipeso il suo destino penitenziario. Quella circolare di novembre era subito risultata di difficile, incerta e rischiosa applicazione.
Ora quei detenuti associati in modo bizzarro a dei colori, diventano un ricordo del passato. I codici e i colori sono stati esplicitamente soppressi. Eppure quella circolare era stata presentata in pompa magna neanche sei mesi fa. Nella nuova circolare Dap si specifica che questione primaria e centrale è la tutela dei diritti della persona detenuta. Oggi gli spazi di vita si sono ridotti a pochissimi metri quadri a persona. Il lavoro per i detenuti è poco e mal pagato.
Le attività ricreative e scolastiche sono anch’esse in calo a causa della mancanza di risorse. Di fronte a un quadro di questo tipo, per evitare tensioni e violenza verso se stessi (i suicidi sono stati ben 24 dal’inizio dell’anno), viene scritto che bisogna favorire la permanenza dei detenuti fuori dalle loro celle anguste. Viene richiamato l’art. 115 d.p.r. 30 giugno 2000 n.230 (Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario) il quale al primo comma prevede che “in ciascuna regione è realizzato un sistema integrato di istituti differenziato per le varie tipologie detentive la cui ricettività complessiva soddisfi il principio di territorialità dell’esecuzione penale, tenuto conto anche di eventuali esigenze di carattere generale”.
Ciò significa che un detenuto deve soggiornare vicino ai propri familiari. La lontananza deprime, aiuta i propositi suicidari. In ogni regione deve esservi una offerta penitenziaria variegata: dalla detenzione dei reclusi più pericolosi agli istituti a regime aperto. Quella che un tempo era definita detenzione a media sicurezza oggi dovrà caratterizzarsi per una maggiore apertura di spazi e di occasioni di reintegrazione sociale. Il provveditore deve organizzare la vita penitenziaria di quel territorio regionale assicurando la territorialità della pena e tenendo conto della specificità del luogo dove opera.
Deve creare occasioni e non solo occuparsi dell’amministrazione ordinaria. Nelle case di reclusione – dove ci sono le persone già condannate – è scritto che devono essere ampliati “gli spazi utilizzabili dai detenuti per frequentare corsi scolastici, di formazione professionale, attività lavorative, culturali, ricreative, sportive e, ove possibile, destinando un istituto o una sezione di questo totalmente a “regime aperto”. Il reparto sarà destinato a “detenuti prossimi alla dimissione il cui fine pena sia inferiore ai diciotto mesi, in considerazione del corrispondente innalzamento del limite di pena per ottenere la detenzione domiciliare speciale”.
Ogni detenuto all’atto di entrare in un carcere aperto deve sottoscrivere un “patto” con l’amministrazione con cui accetta le prescrizioni ivi contenute. La detenzione deve essere responsabilizzante e non infantilizzante. In questo modo anche il lavoro degli agenti di sezione sarà meno gravoso e più gratificante. Il poliziotto penitenziario deve assicurare una sicurezza “dinamica”. Non deve limitarsi ad aprire e chiudere celle.
Deve essere attore del progetto di rinnovamento istituzionale e di recupero individuale. I posti di servizio degli agenti non devono essere quelli preconfezionati sulla carta ma quelli legati agli uomini effettivamente a disposizione. Questa è una importante novità che sarà sicuramente apprezzata dai sindacati meno oltranzisti
Patrizio Gonnella
Da Italia Oggi, 7 giugno 2012