Lettera di un carcerato

Pubblichiamo questo estratto da un romanzo. E’ una lettera dal carcere. E’ frutto di fantasia ma differisce in poco da quelle vere e sopratutto pone parecchi spunti di riflessione. Buona lettura.

 

Cara mamma,

il tempo sembra che passi, anche se poi non passa mai. Sta sempre fermo lì. Siamo noi che ci avviciniamo e questo movimento lo intitoliamo a lui. Che sta lì. Fermo. Sardonico. A non dire e a non fare niente.

Qui da noi, poi, il tempo non solo non ci passa mai. Ma nemmeno ci butta lo sguardo qualche volta. Nemmeno per sbaglio. Nisba.

Noi siamo le cazzimme eternaute dell’infinito.

L’irrilevante della realtà.

Non esiste tempo giusto della pena rispetto alla colpa. Per noi sarebbe meglio pagar tutto e subito. Ci si toglie il dente e non ci si pensa più. Così sembra che ci facciate pagare gli interessi… Gli interessi sulla quota d’innocenza che avete anticipato per noi, non accoppandoci immantinente. Ultima novità in fatto di schiavismo. Inchiavardati qui dentro, a sbobba e puzza. Interessi di tempo e di vita, strozzinaggio d’esistenza rinchiusa, incravattata da una punizione interminabile, che continua anche quando è ormai finita. Per aver spacciato banconote di vita falsa, non legalmente riconosciute dalla grande banca dei vostri valori, della vostra riserva aurea di bontà e giustizia.

Tutti qui, nell’immondezzaio dei pezzi spuri, sfrido inutile da dimenticare, da rottamare, per acquistare qualcosa di nuovo, di pi utile e divertente di un prossimo nostro rompicoglioni e un po’ imbarazzante…

Chi ha detto che il gatto a nove code è un metodo incivile? E l’usura, allora, l’usura sul tempo e sulla libertà?

Ficcatevi al culo il vostro personale, rassicurante Dei delitti e delle pene… Di qua occorre venir fuori… in qualsiasi modo… poco da dire…

Ma così, per tornare a divagare, direi che, se il tempo passasse, porterebbe consiglio… (è come la notte, il tempo) chiarirebbe i dubbi… Il tempo è quello che medica le ferite… fa dimenticare disgusti e tradimenti… il tempo… è quello che uccide gli amori falsi… fa risplendere, eroici, quelli veri…

Dite che ci private dello spazio e invece è il tempo quello che ci fregate, per illudervi di averlo tutto voi, per baloccarvi con l’idea che voi siete liberi, che avete spazio e tempo per vivere e che ve li meritate. Convinti come siete che per voi il tempo passi, che siate liberi di spaziare nello spazio spazioso del mondo. E invece siete inchiodate lì anche voi. Crocifissi nell’istante stesso in cui avete crocifisso noi.  Senza Cristo, né Buona Novella, né Regno dei Cieli. Esattamente come noi.

Tutte fole le vostre… come quelle sul pentimento, sulla rieducazione… Palle, bugione nere a pois scuri, da pinocchi arti il naso in un istante… Nessuno si pente dei propri delitti. Al massimo, se proprio dentro di sé ci si fa schifo, si  prova a dimenticare. Si fa finta di niente. Lo gnorri con la propria coscienza.

In realtà nessuna pena rimedia al danno, al delitto. Chi rompe paga e i cocci e tutti i cazzi conseguenti sono suoi. Ma di qui a ricomporre il vaso ce ne passa…

La galera è la galera e basta. Vendetta allo stato puro. Uguale all’occhioperocchio, al dente perdente. Solo un po’ più sofisticata. Col look rifatto. Democratica. Fai il biccolo sghiavo negro… stronzetto… che così impari a rompere le palle in giro…

E poi qui, dentro all’appendici pilorica dell’universo, tutti noi riuniti, i fracassa tori di palle altrui, come possiamo, tra noi, trovare qualcosa che non siamo noi stessi, le nostre puzze, i nostri sudori, le nostre seghe en plein air, le pisciate e le cagate condominializzate? Ci volete pure creativi, oltre che reclusi?

Se il tempo passasse, capisco… si potrebbe dirci: state lì, fottetevi per un po’ po’ danni, piccole merdette, ciucciatevi il dito e smenatevi ml fardellinno fratellino. Buoni lì, che poi passa, e tutto sarà diverso, vi ritroverete altrove. Tutti rinnovati. Ricollaudati e rigarantiti, un prodotto nuovo e migliorato, tutti pronti a lavare più bianco del bianco… a mordere la strada… schermo ultrapiatto, puliti al limone verde, disinfettati all’odore di Pino Vidàl…

Ma il tempo non passa e quando, con un calcio al culo, ci deporteranno fuori di qui, saremo nello stesso medesimo luogo da dove siamo partiti. Perché non sarà accaduto nulla. Perché il tempo non passa. Il tempo arriva e si accumula tutto lì, nello stesso luogo. Nel nostro luogo di noi. Lì, sula nostra cucurbita e preme e sciaccia e ci crepa e ci affonda. Lì. Proprio lì dove, se ti concentri, lo senti anche tu mamma cara, quel dolore sordo, come emicrania, ascesso dentario, gengivite della fantasia e della volontà.

Provare per credere… Test clinici effettuati garantiscono l’efficacia del nostro metodo.

[…]

In realtà siete prigionieri come me.

Vi spostate velocissimi da un punto all’altro del globo e non vi rendete conto che ormai siete come farfalle impazzite che sbattono contro le pareti del bicchiere sotto cui qualcuno le ha rinchiuse.

La stasi, la stipsi da eccesso di dinamica, movimento, evacuazione. Se non ve ne accorgete è solo perché siete stati tanto furbi da mettere il ralenti al filmato. Vivete in moviola. La  vostra è una libertà a rallentatore. Ma, in realtà, restate eternamente e fulmineamente sempre nello stesso luogo, sempre nello stesso attimo. Immobile e infinito.

Le galere le avete costruite per questo. Per illudervi del fato che voi siete fuori, liberi. E invece siete dentro una galera anche voi. Certo più grande, certo senza sbarre. Ma sempre galera. Avete annullato lo spazio, avete condannato a morte la geografia e poi, stupidi che siete, avete anche festeggiato l’avvenimento.

Tutto è ormai così veloce da divenire immobile. Come la ruota dell’automobile che, ferma, vortica ei fotogrammi del film durante l’inseguimento da guardie & ladri. Mentre corre a velocità folle. Statica per overdose dromologica. Come voi.

E la vostra è una galera dalla quale non si può evadere.

 

Testo estratto da Cucarachas di Lello Voce (ed. Derive e Approdi, 2002)


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