Il 26 giugno sarà la Giornata internazionale dell’ONU contro la tortura.
Il 24-25-26 giugno nelle carceri italiane i detenuti daranno vita a una mobilitazione contro la tortura del carcere e nel carcere. All’esterno degli istituti di pena si mobiliteranno associazioni, partiti, sindacati, movimenti e organizzazioni della società civile.
Perchè la situazione delle carceri italiane si configura ormai da tempo, in quasi tutte le sue realtà, come una situazione di tortura. In particolare, vogliamo segnalare quattro ambiti specifici all’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi politici e amministrativi competenti:
· La tortura quotidiana del sovraffollamento, vissuta dai quasi settantamila detenuti presenti nelle carceri italiane e che si concretizza nella convivenza forzata di quattro persone nelle celle “singole” e di nove-dieci nei “celloni” di alcuni istituti, nelle condizioni igieniche intollerabili, nei suicidi, tentati suicidi e negli atti di autolesionismo, nell’ulteriore ridursi delle possibilità di accedere al lavoro, nella negazione del diritto alla salute e al reinserimento sociale. Una situazione riconosciuta anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel luglio 2009 ha imposto all’Italia il pagamento di un risarcimento di un detenuto recluso per due mesi e mezzo nel carcere di Roma-Rebibbia in un cellone di 16,20 metri quadrati insieme ad altre cinque persone. Una esperienza che riguarda migliaia di altri detenuti.
· La tortura dell’ergastolo, che contraddice il principio costituzione della finalità rieducativa della pena (art.27, comma 3), e in particolare la tortura dell’ergastolo cosiddetto “ostativo”, in base al quale oltre 1000 detenuti condannati all’ergastolo sono formalmente esclusi anche da quelle limitate possibilità giuridiche che permettono l’uscita dal carcere dopo un tempo determinato. Si configura così in Italia, diversamente dagli altri Paesi dell’Unione Europea, un “fine pena mai” effettivo che elimina perfino la speranza di tornare nella società, come per quegli uomini e donne attualmente detenuti nelle carceri italiane da oltre trenta e perfino da oltre quaranta anni consecutivi.
· La tortura del regime di “41bis”, cioè la violenza dell’isolamento continuo, con la possibilità di interagire solo con gli agenti di polizia penitenziaria e per due ore al giorno con tre altri detenuti, i colloqui con i familiari al di là di un vetro antiproiettili e attraverso un citofono. Un meccanismo che non produce “sicurezza” né all’interno né all’esterno delle carceri, mentre produce danni irreparabili di natura fisica e psichica nei detenuti con l’obiettivo (non dichiarato e illegale) di farne dei collaboratori di giustizia.
· La tortura dell’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), ossia dell’ “ergastolo bianco”, di una misura di sicurezza legata all’idea lombrosiana della “pericolosità sociale” e priva di un fine pena definito. Gli internati sono così privati a tempo potenzialmente indeterminato della propria libertà, costretti per giunta a vivere in quella situazione insostenibile che alcune recenti pubblicazioni e servizi giornalistici hanno ben descritto.
Aderiamo a questo appello che ci vedrà impegnati con sciopero della fame e con altre iniziative di informazione.
Christian De Vito, Beppe Battaglia, Giuliano Capecchi, Carmelo Musumeci, Alfredo Sole, Giovanni Antonio Ruffo, ed altri…
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