LA SITUAZIONE SEMPRE PIU’ CALDA DELLE CARCERI ITALIANE

 

Il 30 giugno nel carcere di Padova si è ucciso Santino, di 25 anni. Il
28 giugno Marcello, detenuto comune di 37 anni, si è tolto la vita nella
casa circondariale di Giarre (Catania). L’uomo è stato trovato
impiccato con un cappio al collo alle sbarre della finestra del bagno
della cella. Il 27 giugno nella camera di sicurezza della questura di
Agrigento si era impiccato un giovane marocchino Y.A., di 22 anni,
arrestato per rissa.
Dall’inizio dell’anno i suicidi certi in Italia sono 33 (3 casi sono
dubbi), mentre altri 60 sono morti per malattia o per “cause da
accertare”. Il totale dei detenuti morti nel 2010 sale a 96. Negli
ultimi 10 anni i suicidi avvenuti nelle carceri italiane sono stati 589,
mentre 1.694 è il numero dei detenuti morti.
Su queste statistiche,
se non trattassero cose tristi e macabre, ci sarebbe persino da
sorridere per come la burocrazia del ministero di via Arenula e il Dap
si arrampicano sugli specchi. Sapete perché tre casi di suicidio
sarebbero dubbi? Perché chi si è tolto la vita in carcere in realtà è
poi deceduto in ambulanza o in ospedale, non nella cella, e questo basta
a lavare la coscienza dei burocrati.

Pentole, piatti e coperchi contro le inferriate delle finestre delle
loro celle. Questa la forma di protesta dei detenuti del carcere di
Foggia che stanno manifestando contro il sovraffollamento della
struttura.
Alzano la voce per denunciare le condizioni di vivibilità nel
penitenziario dauno, già di per sé difficili e che con le alte
temperature diventano insostenibili. La struttura, concepita per poter
ospitare al massimo 400 detenuti, attualmente ne contiene oltre 700 ma,
in alcuni periodi si è sfiorata la soglia di 850 detenuti e i reclusi
sono stipati quasi uno sull’altro. Numeri che tradotti in termini di
vivibilità fanno accapponare la pelle. Significa, infatti, che in una
cella di sei metri per tre, realizzata per ospitare non più di due
persone, vengono ammassati cinque o sei detenuti. Ad aggravare la
situazione anche le elevate temperature di questi giorni. Caldo
insopportabile che, di sicuro, non facilita la sopravvivenza.
I
detenuti sono costretti a trascorrere gran parte della giornata distesi
sul letto, per cercare, almeno in parte, di ottimizzare lo spazio a loro
disposizione. La cosiddetta “spadellata” che sarà ripetuta tre volte al
giorno fino al 15 luglio; Foggia, inoltre, è l’unico penitenziario in
tutta la Puglia ad attuare questa forma di protesta. Un disagio, quello
del sovraffollamento, vissuto anche dagli agenti di polizia
penitenziaria: ad oggi circa 400 unità troppo poche per far fronte alle
esigenze di sicurezza
.

Mattinata tesa, quella di ieri, al palazzo di giustizia di Como. Dove
nel bel mezzo di un’udienza preliminare un detenuto cubano, chiamato a
rispondere davanti al giudice di un banalissimo reato di resistenza nei
confronti degli agenti della polizia penitenziaria del Bassone, ha
iniziato a ferirsi al collo e alle braccia con una lametta che era
riuscito a nascondere dai controlli compiuti all’uscita della prigione
dov’è attualmente detenuto, ovvero Voghera.
Campos Pazos, in cella per scontare una pesante condanna, ha atteso una
pausa dell’udienza per dare vita al suo macabro show all’interno
dell’aula al primo piano del tribunale: pur ammanettato, con la lametta
ha iniziato a ferirsi al collo e alle braccia, causando un importante
sanguinamento, non tale da metterlo in pericolo di vita.
L’uomo è
stato immediatamente bloccato dagli agenti della polizia penitenziaria.
Quindi è stato soccorso dai volontari della Croce Rossa e portato – a
fatica – fuori dal tribunale per essere caricato in ambulanza e
trasportato in pronto soccorso.
Da quanto è stato possibile
ricostruire il detenuto cubano aveva nascosto la lametta in bocca,
consapevole che sarebbe stato accuratamente perquisito all’uscita dal
carcere di Voghera. Non è la prima volta che l’uomo è protagonista di
atti di autolesionismo, tutte le volte terminati – come ieri – con
ferite fortunatamente superficiali e lievi.

 


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