SUI SUICIDI NELLE CARCERI ITALIANE

Negli ultimi dieci anni (2000 – 2009) i detenuti suicidi nelle carceri italiane sono stati 568, contro i 100 nel decennio 1960 – 69, con una popolazione detenuta che era circa la metà dell’attuale: in termini percentuali, la frequenza dei suicidi è quindi aumentata del 300%. Lo rileva il Centro studi di Ristretti orizzonti, in un confronto statistico tra l’Italia, i Paesi europei e gli Usa, realizzato elaborando i dati forniti dal ministero della Giustizia, dal Consiglio d’Europa e dallo U.S. Department of Justice.
I motivi di questo aumento, sottolinea Ristretti orizzonti, sono diversi: 40 anni fa i detenuti erano prevalentemente criminali “professionisti”, mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall’emarginazione sociale, spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere. In ambito europeo, prendendo in considerazione i dati del periodo 2005 – 2007, risulta una media annua di 9,4 suicidi ogni 10.000 detenuti, tra i presenti in tutte le carceri del continente. Confrontando invece i tassi di suicidio nelle popolazioni detenute dei singoli Paesi il valore mediano risulta di 7,4 suicidi l’anno ogni 10.000 persone.
Negli Stati Uniti fino a 30 anni fa il tasso di suicidio tra i detenuti era simile a quello che si registra oggi in Europa. Ma dopo l’istituzione, nel 1988, di un Ufficio “ad hoc” per la prevenzione dei suicidi in carcere, con uno staff di 500 persone incaricate della formazione del personale penitenziario, in 25 anni i suicidi si sono ridotti del 70%, rimanendo poi su livelli pari a circa un terzo di quelli italiani ed europei. In Italia, nel triennio 2005 – 2007, il tasso di suicidio è stato pari a 10 casi ogni 10.000 detenuti; nel 2009 è salito a 11,2 e per l’anno in corso finora si mantiene sullo stesso livello.
In alcuni Paesi, come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, che hanno un numero di detenuti paragonabile a quello dell’Italia, avvengono in media più suicidi rispetto a quelli che si registrano nelle nostre carceri. Tuttavia, sottolinea Ristretti Orizzonti, per un confronto efficace tra i dati dei vari Paesi bisogna prendere in considerazione anche la frequenza dei suicidi nella popolazione libera, perché ogni sistema carcerario va contestualizzato nella comunità di riferimento.
Lo ha fatto l’Istituto Nazionale francese di Studi Demografici (Ined), con la ricerca “Suicide en prison: la France comparèe à ses voisins europèens”, pubblicata a dicembre 2009. L’Ined ha considerato la frequenza di suicidi tra i cittadini liberi, maschi, di età compresa tra 15 a 49 (cioè con caratteristiche simili a quelle della gran parte della popolazione detenuta) e ha calcolato lo ‘scartò esistente con la frequenza dei suicidi in carcere.
L’Italia, tra i Paesi considerati, è quello in cui maggiore è lo scarto tra i suicidi nella popolazione libera e quelli che avvengono nella popolazione detenuta, con un rapporto da 1,2 a 9,9 (quindi in carcere i suicidi sono circa 9 volte più frequenti), mentre in Gran Bretagna sono 5 volte più frequenti, in Francia 3 volte più frequenti, in Germania e in Belgio 2 volte più frequenti e in Finlandia, addirittura, il tasso di suicidio è lo stesso dentro e fuori dalle carceri. Dallo ‘scartò esistente tra i suicidi dei detenuti e quelli della popolazione libera è possibile definire un criterio di ‘vivibilità di ogni sistema penitenziario. L’Italia detiene il “record” del tasso di sovraffollamento penitenziario in Europa e, allo stesso tempo, presenta lo scarto maggiore tra suicidi dentro e fuori dal carcere.
Ristretti Orizzonti ritiene quindi vi sia un rapporto tra affollamento delle celle, riduzione della vivibilità e elevato livello di suicidi. L’affollamento, infatti, comporta condizioni di vita peggiori: per mancanza di spazi di movimento, di intimità, di igiene e salute, quindi è tra le possibili ragioni della scelta di uccidersi. Ma va anche detto che il 30% circa dei suicidi avviene mentre il detenuto è da solo, perché in cella di isolamento o perché i compagni sono usciti per l’ora d’aria.
Dall’inizio dell’anno, nelle carceri italiane vi sono stati 23 suicidi accertati (per impiccagione) e 6 casi dubbi (morte per inalazione di gas). Nei 20 anni precedenti (1990 – 2009), i suicidi sono stati 1.027, con un caso su 3 avvenuto in cella d’isolamento. I tentati suicidi, in 20 anni, sono stati 14.840, con una frequenza media di 148 casi ogni 10.000 detenuti. Nello stesso periodo, gli atti di autolesionismo sono stati 98.342, con una frequenza media di 1.045 casi ogni 10.000 detenuti.
Dal 1990 ad oggi, rileva ancora Ristretti Orizzonti, nelle carceri italiane si è registrato in media ogni anno: 1 suicidio ogni 924 detenuti presenti; 1 suicidio ogni 283 detenuti in regime di 41 – bis; 1 tentato suicidio ogni 70 detenuti; 1 atto di autolesionismo ogni 10 detenuti; 1 sciopero della fame ogni 11 detenuti; 1 rifiuto delle terapie mediche ogni 20 detenuti.

Fonte: RistrettiOrizzonti 

E intanto non si placano i suicidi in cella…

Sabato scorso due detenuti si sono tolti la vita a Milano e a Lecce. Nel carcere milanese di Opera si è ucciso Francisco Caneo, 48 anni, ergastolano originario delle Filippine. Si è impiccato approfittando dell’uscita del compagno di cella per fruire dei passeggi.  

Secondo suicidio in pochi giorni a Lecce, ed una casistica che fa rabbrividire: sono ormai una trentina i casi analoghi in Italia dall’inizio dell’anno. Sabato pomeriggio, intorno alle 15, un detenuto di 55 anni di Salve, Luigi Coluccello, si è tolto la vita impiccandosi nel reparto infermeria della casa circondariale di Lecce.

Fonte: Ansa 


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