ROMA – Camilla ha 25 anni. Ieri mattina si è svegliata, si è fatta fare le treccine ai capelli, ha messo un filo di trucco, e indossato il suo vestito preferito, di un rosa pallido. Adriana, coetanea, quando ha aperto gli occhi era felice. Ha messo i pantaloni e un gilet, il trucco no, non fa per lei. Camilla e Adriana ieri mattina si sono sposate nella casa circondariale di Rebibbia, dove sono entrambe detenute per questioni di droga. A celebrare l’unione il vicesindaco di Roma Daniele Frongia, che ha un passato da volontario nelle carceri. Un amore nato dietro alle sbarre: Camilla e Adriana condividevano la cella con altre recluse. Sono diventate da subito amiche e poi, pian piano, con il passare del tempo, è nato qualcosa in più.
Adriana, di origini polacche, sapeva di essere omosessuale quando è entrata in carcere, lasciandosi alle spalle una storia che a sentire i genitori, agricoltori stabilitisi nel Lazio, è all’origine dei suoi guai. La sua pena finirà l’anno prossimo, ma i giorni di reclusione che ancora ha davanti, da ieri, saranno più felici. Per lei e per i suoi genitori che ieri hanno voluto essere presenti, portando le fedi con incisi i nomi delle ragazze.
Camilla, sudamericana, invece, non aveva mai avuto un fidanzato, ma non sapeva il perché. Però, poco a poco, ha sentito nascere un sentimento per l’amica alla quale presto ha dato il nome di amore. Resterà a Rebibbia fino al 2019, anche se ormai da qualche tempo esce per lavorare. Il loro comportamento esemplare in carcere è stato uno dei motivi che hanno indotto la direttrice, gli psicologi e gli educatori, a sostenere la loro storia d’amore e ad aiutarle a coronare il loro sogno.
È stata una festa. Con tanto di fiori, regali, bomboniere e torta nuziale con una ventina di invitate del braccio femminile, le agenti, le operatrici e la direttrice. Una cosa quasi normale se non fosse che, invece di tornare a casa o partire per il viaggio di nozze, ieri sera si sono ritrovate dove tutto è iniziato. In quella gabbia in cui hanno trovato la loro libertà.
È la prima volta che due detenute si uniscono civilmente in carcere e che possono vivere sotto lo stesso tetto. D’altronde condividevano la cella prima, separarle ora, spiegano fonti del ministero di via Arenula, sarebbe una cattiveria inutile e immotivata.
Insomma Camilla e Adriana hanno precorso i tempi. Proprio quando si è aperto il dibattito, anche in tema di riforma dell’ordinamento penitenziario, sull’affettività dei detenuti: il progetto già in fase avanzata affronta la questione degli incontri tra persone unite o sposate, una delle quali sia detenuta. Al ministero si sta valutando di creare degli ambienti nelle strutture penitenziarie per consentire momenti di intimità.
La vicenda a lieto fine di Camilla e Adriana apre un fronte ulteriore nelle carceri, dove le sezioni sono rigidamente separate per genere. Ponendo al legislatore un orizzonte nuovo che la stessa norma sulle unioni civili impone. Se l’unione fosse stata tra eterosessuali la separazione sarebbe inevitabilmente avvenuta un minuto dopo il sì. Per loro invece la cella si è trasformata nella prima casa.