Detenuto trovato morto in cella Ipotesi suicidio in carcere Padova

Giovanni Pucci, 44 anni, era in semilibertà, recentemente si era anche sposato. Poche ore prima della morte era stato sentito per una indagine sullo spaccio in carcere

 

PADOVA – Un detenuto della casa di reclusione di Padova è stato trovato morto questa mattina. L’uomo, un leccese condannato a più di 20 anni per omicidio e sequestro di persona, si sarebbe impiccato nella sua cella durante la notte. Il nome del decordatesatenuto era recentemente comparso all’interno di un’inchiesta della squadra mobile di Padova su un traffico di stupefacenti tra le mura del carcere Due Palazzi. Secondo quanto si è appreso dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe l’uomo avendo già scontato diversi anni di carcere e godeva ora di un regime di semilibertà. Recentemente si era anche sposato.

Il detenuto Giovanni Pucci, 44 anni, era stato sentito dagli investigatori poche ore prima del presunto suicidio nell’ambito dell’inchiesta su un traffico di droga tra le mura del carcere. Forse il gesto potrebbe essere la risposta alla paura di un aggravamento di pena. Pucci sarebbe dovuto rimanere in carcere fino al 2021. «Quello di Padova è un carcere dove c’è un’emergenza nazionale – ha spiegato il responsabile del Sappe Giovanni Vona – dove evidentemente non si comprende bene cosa significa sotto l’aspetto umano vivere in una struttura affollata dal triplo delle persone che ci dovrebbero essere».

Pucci, elettricista di Castrignano de’ Greci, stava scontando una condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio della dottoressa Maria Monteduro, 40 anni, uccisa a colpi di cacciavite la notte tra il 24 e il 25 aprile 1999 mentre era in servizio di guardia medica a Gagliano del Capo (Lecce), comune in cui era anche assessore ai Servizi sociali. Al momento del delitto, secondo investigatori e giudici, Pucci era sotto l’effetto di un cocktail di stupefacenti. Per quell’omicidio, il 30 settembre 2003, Pucci era stato condannato all’ergastolo nei tre gradi di giudizio, pena poi rideterminata definitivamente in 30 anni dalla Cassazione il 10 gennaio scorso su ricorso dei difensori (gli avvocati Luca Puce e Giuseppe Stefanelli, del foro di Lecce).

La rideterminazione della pena aveva aperto per lui una serie di benefici, tant’è che aveva ottenuto di lavorare fuori dal carcere come elettricista e aveva un contratto a tempo indeterminato. Pucci usciva al mattino dal carcere e rientrava la sera per dormirvi; l’anno scorso si era anche sposato. Una decina di giorni fa, però, il magistrato di sorveglianza gli aveva sospeso il permesso di lavoro esterno dopo che Pucci era stato sentito dalla Procura nell’ambito di un’inchiesta su un presunto giro di droga nel carcere di Padova. Circostanze, queste, che anche secondo i suoi legali potrebbero aver inciso sull’improvvisa decisione del detenuto di farla finita.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, 15 anni fa Pucci uccise la dottoressa a colpi di cacciavite alla testa dopo averla costretta a salire a bordo della sua Renault 19 e aver imboccato un viottolo di campagna. Per gli inquirenti ci sarebbe stato anche un tentativo di violenza sessuale. Pucci scomparve subito dopo il delitto ma venne rintracciato e arrestato il 24 settembre 1999 in Kazakistan, dov’era andato a trovare il padre. L’uomo confessò l’omicidio, anche se fornendo una versione dei fatti ritenuta piena di contraddizioni. Nell’inchiesta finirono anche un paio di presunti favoreggiatori, ma alla fine Pucci è stato l’unico a finire sotto processo e ad essere condannato. Il 2 ottobre successivo, a poca distanza dal luogo del ritrovamento del cadavere, fu trovata nel terreno l’arma del delitto, un cacciavite lungo una ventina di centimetri.


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