Nel tribunale di Milano c’è un magistrato condannato a due mesi e venti giorni di carcere (e 800 euro di multa) perché pedalava su una bicicletta in stato di ebbrezza. Chi sia il protagonista non è dato saperlo visto che in procura vige «il più stretto riserbo», espressione vieppiù utilizzata ma alla quale non siamo abituati nemmeno per casi eclatanti quali omicidi e inchieste politico-finanziarie, mentre in questo caso pare reggere. Un silenzio per tutelare il condannato, non le indagini in corso.
La notizia è stata pubblicata ieri su «Giustiziami.it», un sito gestito da esperti giornalisti giudiziaristi del tribunale di Milano che hanno deciso di raccontare anche le storie che (spesso) sfuggono al circuito dell’informazione ufficiale. Vicende talvolta comiche (come il magistrato che frequenta così spesso la Coin da essere scambiata per una commessa da una cliente), altre soltanto sussurrate, come quella del giudice ubriaco. Ebbene, su di lui neppure i validi cronisti di Giustiziami sono riusciti a scoprire molto. Sconosciuto il nome e il giorno della condanna, che è arrivata dal tribunale di Brescia in quanto non avrebbe potuto essere giudicato dai suoi colleghi milanesi. Si sa soltanto che è stato «protagonista di importanti inchieste» e che ora sulla sua fedina penale compare una macchia di due mesi e venti giorni di carcere.
E dunque, Mister X pedalava di notte sul marciapiede, contravvenendo così a un divieto tutto sommato trascurabile, soprattutto considerando l’ora. Ma due inflessibili vigili lo hanno notato e gli hanno chiesto spiegazioni, per nulla intimoriti dalla sua professione. Gli hanno ricordato che il marciapiede è per i pedoni e subito dopo si sono accorti che il ciclista togato non era in perfetta forma. Insomma, era ubriaco. Forse ha scelto di evitare la strada perché consapevole del suo stato e dei rischi che avrebbe corso e avrebbe potuto causare, ma la premura non è stata apprezzata dagli agenti della polizia locale, che lo hanno denunciato all’autorità giudiziaria per guida in stato di ebbrezza. Il fascicolo passa a Brescia (per il motivo di cui sopra), dove la Procura decide di archiviare il caso non ritenendo il soggetto colpevole. Poi, però, il colpo di scena: il giudice per l’udienza preliminare si oppone e chiede l’imputazione coatta, portando alla fine alla condanna a due mesi e venti giorni più 800 euro di sanzione amministrativa, in base alla legge del 2010 che disciplina i reati stradali.
La storia si conclude qui e – ci rendiamo conto – di elementi ne mancano un bel po’, a partire dal dato temporale e geografico. È la prima lezione di ogni giornalista, ricordare sempre le cinque W anglosassoni, ovvero chi, che cosa, quando, dove, perché. A volte si riesce a rispettarla perfino quando si tratta di efferati omicidi, dove c’è di mezzo la vita delle persone, o in caso di maxi processi politici. Altre volte – e ce ne rammarichiamo – è difficile anche con una multa da 800 euro.