Monza, 12 febbraio 2012 -Se l’indulto, per il carcere di Monza, è stato «solo un’aspirina» come l’avevano bollato gli agenti, il decreto «svuotacarceri<» non sposterà neanche di una virgola la situazione. «Non ci dobbiamo aspettare grandi cambiamenti>», ammettono dalla direzione della casa circondariale. Certo, secondo la media lombarda anche a Monza un detenuto su sette potrebbe lasciare via Sanquirico con un anno e mezzo di anticipo per scontare gli ultimi mesi di condanna agli arresti domiciliari. Una possibilità che allunga di sei mesi quanto già previsto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano nel 2010, e di cui l’anno scorso ne hanno beneficiato 75 detenuti di Monza.
E adesso? La conta precisa non è stata ancora fatta ma «i numeri non cambieranno di molto, anche perché per poter anticipare l’uscita dal carcere – mettono i puntini dalla direzione dell’istituto – oltre alla valutazione del magistrato di sorveglianza è necessario anche avere una casa idonea per scontare i domiciliari. E non tutti i detenuti ce l’hanno, soprattutto gli stranieri», che a Monza sono quasi la metà (il 45%) su una popolazione di 740 persone. Morale: nemmeno il decreto «svuotacarceri» aiuterà ad allargare gli spazi nelle celle. «La situazione è certamente difficile – riconoscono in direzione -, peggiorata anche dal fatto che abbiamo 57 celle chiuse perché inagibili a causa delle infiltrazioni d’acqua».
Un problema venuto a galla dopo il nubifragio dell’agosto scorso. I primi interventi-tampone sui reparti matricola, osservazione e lungo i camminamenti sono quasi ultimati ma per i lavori in grado di mettere all’asciutto le celle, la cappella, la palestra e il teatro tutto è ancora fermo al Ministero. In settimana, invece, si comincerà a mettere mano all’impianto di riscaldamento ma anche qui si tratta solo di un palliativo nell’attesa del rinnovamento completo delle caldaie. E «qui si continua a stare al freddo, le temperature degli ambienti e dell’acqua è gelida. Un problema che riguarda anche la caserma degli agenti interna al carcere (dove alloggia una cinquantina di poliziotti) e la Pastrengo in via Lecco in cui vivono circa 200 persone – lamenta Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -. Il fatto è che tutto viene trascurato, a cominciare dalle sedie rotte degli uffici».
Inflitrazione, locali chiusi, sovraffollamento, mezzi di trasporto vecchi che «d’estate sono dei forni e d’inverno delle ghiacciaie» ma che «non possono essere sistemati perché mancano i soldi per pagare le officine»: «Verso il carcere serve maggiore attenzione», chiede Benemia. Per quanto possibile i Comuni della Provincia ci provano, almeno fin dove il problema diventa di competenza del Ministero.
«Ogni Comune sostiene con una quota pro capite, progetti rivolti ai detenuti per usare il tempo passato in carcere in maniera produttiva – spiega l’assessore alle Politiche sociali di Monza, Pierfranco Maffè -. Dallo sportello anagrafe allo sportello lavoro, dalla scuola (dall’alfabetizzazione al biennio delle superiori, ndr) alla mediazione culturale alla biblioteca. Cerchiamo di dare e creare opportunità per cambiare il volto del carcere». A cui si aggiungono gli investimenti di aziende private che danno lavoro a una cinquantina di persone, mentre altri 79 (50 uomini e 29 donne) si occupano dei servizi interni, dalle pulizie alla cucina alla distribuzione del vitto. «Cerchiamo anche di dare supporto agli agenti che spesso arrivano dal Sud – conclude Maffè -, perché non diventino anche loro prigionieri della struttura in cui lavorano».
Da Il Giorno Monza e Brianza