Che ci fa ancora in carcere il ragazzo italiano arrestato ad Amburgo?

Fabio Vettorel ha diciott’anni, ha lasciato la scuola e fa l’operaio in una fabbrica vicino a Feltre, in provincia di Belluno. Ma dal 7 luglio si trova nel carcere di Hahnöfersand, a trenta chilometri da Amburgo. È stato arrestato poco dopo la manifestazione che era stata organizzata contro il vertice del G20 e, poiché si temeva un pericolo di fuga, è stato sottoposto a un regime di custodia cautelare particolarmente restrittivo. Quest’estate non ha potuto ricevere visite per tre settimane e ora le uniche persone autorizzate a vederlo sono i suoi genitori. Può telefonare solo alla sua famiglia. Tutta la posta in uscita e in entrata è stata acquisita dalla procura e controllata.

È in pratica l’unica persona ancora in carcere: quasi tutti i tedeschi e gli stranieri che furono fermati nell’occasione della protesta sono stati rilasciati, compresi altri cinque italiani.

L’accusa iniziale contro Vettorel era di disturbo alla quiete pubblica, ma il 21 settembre è stata formalizzata quella definitiva, che aggiungeva il tentativo di causare danni mediante mezzi pericolosi e resistenza a pubblico ufficiale. Non ci sono accuse specifiche relative alla sua persona: si dice solo che non si è allontanato dal gruppo in cui si verificavano azioni violente e che non ha agito per fermare i manifestanti violenti. Di fatto non ci sono testimonianze contro di lui.

Sproporzioni e discriminazioni
Anche solo con questi elementi, la vicenda di Vettorel è inquietante. Ma se ne possono aggiungere molti altri.

  1. C’è una sproporzione tra i reati contestati e le misure di detenzione inflitte, visto che non sono state attribuite a Fabio Vettorel singole azioni violente.
  2. Fabio è incensurato e per la legge tedesca, essendo un “giovane sotto i 21 anni”, è soggetto al diritto minorile. Questo però non lo facilita, anzi, perché l’ordinamento giudiziario tedesco è severo con i minori.
  3. Il parlamento tedesco aveva modificato la legge sull’ordine pubblico nelle manifestazioni di piazza proprio alla vigilia del G20, e questo ha consentito ai tribunali di avvalersi di una legge in vigore dal giorno prima.
  4. C’è una discriminazione nei confronti di un cittadino comunitario, visto che tutti i cittadini tedeschi incensurati che erano accusati per reati analoghi o più gravi sono stati rilasciati, non essendo stato evidenziato per loro un pericolo di fuga.
  5. In tutte le legislazioni europee si tende a ridurre il ricorso al carcere. Ma poiché si è notato che quando un cittadino europeo compie un reato in un paese diverso dal proprio i magistrati tendono a eccedere con la custodia cautelare (ritenendo che il pericolo di fuga sia maggiore), esiste da qualche tempo una direttiva europea che dice che quando si è accusati di un reato in un paese diverso da quello di residenza, il tempo della custodia cautelare lo si può scontare nel proprio paese, in carcere o agli arresti domiciliari. Nel caso di Fabio Vettorel questa norma non è stata nemmeno presa in considerazione.
  6. L’avvocata di Vettorel, Gabriele Heinecke, non ha ottenuto la ricusazione della giudice per sospetta parzialità dovuta ad alcune sue dichiarazioni. La giudice definiva altamente probabile la condanna senza condizionale per Fabio Vettorel, e affermava che questo era un notevole incentivo alla fuga. Secondo la giudice, inoltre, l’imputato non si era dissociato dagli atti di violenza del gruppo, anche se non c’è alcuna prova di una violenza concreta da parte sua. In pratica Fabio era già stato processato prima ancora di entrare in tribunale.
  7. Finora non ci sono testimoni che dichiarino di averlo visto commettere un reato durante la manifestazione. Esiste un video degli scontri della mattina del 7 luglio, ma in questo video lui compare solo ai margini del corteo.
  8. Nella descrizione che hanno fatto di lui a luglio per impedire il suo rilascio su cauzione, si descriveva Vettorel come ispirato da “violenza profonda”, con “tendenze criminali” frutto di “carenze educative”: questo senza il supporto di analisi psicologiche o di altri esperti, alle quali Fabio non è stato sottoposto, anzi senza nemmeno averlo mai incontrato.

L’elenco potrebbe continuare, aggiungendo per esempio quello che racconta la madre di Vettorel, Jamila Baroni, la quale, nonostante il suo lavoro, si è dovuta trasferire ad Amburgo per poter seguire il processo e stare vicino al figlio: “Ogni giorno c’è un problema banalissimo da risolvere. L’autorizzazione per i colloqui dobbiamo richiederla una settimana prima e alle volte ci viene concessa solo qualche ora prima. Per poter far avere dei libri a Fabio abbiamo dovuto aspettare mesi, è stato complicatissimo”.

Ho deciso di venire ad Amburgo a manifestare. Per me venire qui è stato prima un dovere che un diritto

Il 7 novembre si è svolta la prima udienza del processo e la prossima sarà il 14 novembre e oltre alla stampa – anche quella tedesca che si sta interessando al caso – probabilmente parteciperanno anche osservatori istituzionali e indipendenti; Amnesty International già si è schierata più volta a favore della scarcerazione. L’avvocata Heinecke aveva fatto richiesta di archiviazione evidenziando la mancanza di un’accusa concreta nei confronti di Fabio. La richiesta non è stata accolta, e la prima udienza sarebbe stata completamente inutile se non fosse stato per la dichiarazione spontanea che ha voluto rilasciare Fabio.

È interessante leggerla perché fa risaltare la consapevolezza di un ragazzo di poco più di diciott’anni.

Come potrete immaginare io oggi voglio avvalermi del mio diritto di non rilasciare dichiarazioni in merito allo specifico fatto di cui sono imputato. Tuttavia vorrei porre l’attenzione su quali siano le motivazioni che spingono un giovane operaio originario di una remota cittadina delle Prealpi orientali a venire ad Amburgo. Per manifestare il proprio dissenso contro il vertice del G20. G20. Solo il nome ha in sé qualcosa di perverso. Venti tra uomini e donne esponenti dei venti paesi più ricchi e industrializzati del globo si siedono attorno a un tavolo. Si siedono tutti insieme per decidere il nostro futuro. Sì, ho detto bene: il nostro. Il mio, come quello di tutte le persone sedute in questa stanza oggi, come quello di altre sette miliardi di persone che abitano questa bella Terra. Venti uomini decidono della nostra vita e della nostra morte.
Prima di venire ad Amburgo ho pensato anche all’iniquità che flagella oggi il pianeta. Mi sembra quasi scontato infatti ribadire che l’1 per cento della popolazione più ricca del mondo detiene la stessa ricchezza del 99 per cento più povero. Mi sembra quasi scontato ribadire che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono la stessa ricchezza del 50 per cento della popolazione mondiale più povera: 85 uomini contro tre miliardi e mezzo di persone. Queste poche cifre bastano a rendere l’idea. (…)
E poi, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, prima di venire ad Amburgo ho pensato alla mia terra: a Feltre. Il luogo dove sono nato, dove sono cresciuto e dove voglio vivere. La cittadella medioevale è incastonata come una gemma nelle Prealpi orientali. Ho pensato alle montagne che al tramonto si tingono di rosa. Ai bellissimi paesaggi che ho la fortuna di vedere dalla finestra di casa. Alla bellezza che travolge questo luogo.
Poi ho pensato ai fiumi della mia bella valle violentati dai tanti imprenditori che vogliono le concessioni per costruire centrali idroelettriche. Incuranti dei danni alla popolazione e all’ecosistema.
Ho pensato alle montagne colpite dal turismo di massa o diventate luogo di lugubri esercitazioni militari. Ho pensato al bellissimo posto dove vivo che sta venendo svenduto ad affaristi senza scrupoli. Esattamente come tante altre valli in ogni angolo del pianeta. Dove la bellezza viene distrutta nel nome del progresso.
Sulla scia di tutti questi pensieri ho deciso dunque di venire ad Amburgo a manifestare. Per me venire qui è stato prima un dovere che un diritto.

Il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione diritti umani del senato, ha commentato sconsolato la vicenda: “Dopo anni di retorica sulla costituzione europea e sullo spazio giuridico comune, è amaro scoprire che un italiano indagato dalla medesima procura e per il medesimo reato, subisce un trattamento giudiziario diverso da quello di un imputato tedesco”.

Ma quel che impressiona non è solo la differenza di trattamento di cittadini di paesi diversi; quanto come le legislazioni di emergenza nate in Europa in questi anni di lotta al terrorismo e contrasto all’immigrazione abbiano di fatto creato un clima di repressione che produce poi obbrobri giuridici come questo.

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