Rebibbia, suicidio in carcere

Un detenuto si è suicidato nel reparto G9 del carcere romano di Rebibbia. E’ il terzo suicido nelle carceri del Lazio, fa notare il sindacato delle guardie carcerarie Fns Cisl Lazio: “In più occasioni abbiamo evidenziato la situazione di fatiscenza in cui versa il reparto G9, noto alla cronaca per una recente evasione, sollecitando urgenti interventi di manuntenzione e lamentando una condizione disumana per i detenuti”. Per la Fns Cisl Lazio il reparto andrebbe chiuso. A Rebibbia ci sono oggi 252 detenuti oltre alla capienza di 1.172. “Questo suicidio è una sconfitta per tutti” conclude la nota dl sindacato.

Antigone Il suicidio di Rebibbia arriva il giorno dopo l’ennesima denuncia di Antigone, l’associazione che da anni si batte per condizioni umane e dignitose nelle prigioni italiane.Secondo il pre-rapporto 2017 di Antigone il numero dei detenuti in Italia continua a crescere (il tasso di sovraffollamento è al 113,2%) e in alcune carceri si torna a scendere sotto lo spazio minimo previsto di 3 metri quadrati per detenuto

Già nell’ultimo rapporto, non a caso chiamato #TornailCarcere, si era posta l’attenzione sul ritorno del sovraffollamento con tassi di crescita che, se continuassero all’attuale ritmo, porterebbero in pochi anni l’Italia ai livelli che costarono la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Ma quali sono le ragioni della crescita del numero dei detenuti? “Da una parte il numero enorme di processi penali pendenti – spiega Antigone – Oltre 1,5 milioni di cui più di 300 mila dalla durata irragionevole e quindi prossimi alla violazione della legge Pinto. I tempi lunghi dei processi influiscono sull’eccessivo ricorso alla custodia cautelare che continua a crescere arrivando all’attuale 34,6%, quando solo due anni fa era al 33,8%. Dall’altra c’è il fatto che si registra un cambiamento anche nelle pratiche di Polizia e giurisdizionali, effetto questo della pressione dell’opinione pubblica a partire da casi eclatanti (di come le sirene del populismo penale potessero influire avevamo parlato in un nostro recente approfondimento)”.

Altri dati che emergono riguardano lo stato generale delle condizioni di detenzione. Nel 68% degli istituti visitati ci sono celle senza doccia (come invece richiesto dall’art. 7 del DPR 30 giugno 2000, n. 230), e solo in uno, a Lecce, e solo in alcune sezioni, è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti, come richiesto dall’art. 14 dell’Ordinamento penitenziario. Inoltre l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea con il più basso numero di detenuti per agenti (in media 1,7), mentre ciò che manca sono gli educatori. A Busto Arsizio ce n’è uno ogni 196 detenuti e a Bologna uno ogni 139.

Elemento fondamentale è anche quello della salute in carcere. “In tal senso sarebbe utile per i medici disporre della cartella clinica informatizzata – prosegue la onlus – che garantisce che le informazioni sanitarie del detenuto si spostino facilmente assieme a lui da un istituto all’altro, ma questa è disponibile solo nel 26% degli istituti da noi visitati”.

Per quanto riguarda il lavoro è stato osservato che lavora circa il 30% dei detenuti. Ma nel 26% degli istituti non ci sono datori di lavoro esterni, nel 6% non ci sono corsi scolastici attivi e nel 41,5% non ci sono corsi di formazione professionale. Uno sguardo viene posto anche ai contatti con l’esterno ed ai rapporti con la famiglia, di cui si riconosce l’utilità per il reinserimento sociale e la prevenzione di atti di autolesionismo. Ebbene, in uno solo degli istituti visitati nel corso del 2017 dall’associazione, ad Opera, sono possibili i colloqui con i familiari via Skype, ed in uno solo, nella Casa di Reclusione di Alessandria, è possibile per i detenuti una qualche forma di accesso ad Internet.

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