Chiudere Guantanamo? Sì, per riaprirlo nello Yemen

cordatesaPotrebbe essere la volta buona per la chiusura del carcere di Guantanamo. Ma questo non metterà fine a ciò che Guantanamo rappresenta: Obama infatti avrebbe intenzione di dare finalmente seguito a quella promessa fatta gli americani durante le elezioni del 2008, e cioè di chiudere il carcere di massima sicurezza in territorio cubano, ma senza privare gli Stati Uniti di una struttura simile, che evidentemente viene ritenuta indispensabile.

Per questo, secondo il Los Angeles Times, l’amministrazione statunitense avrebbe iniziato dei colloqui con le autorità dello Yemen per l’apertura in territorio yemenita di una nuova struttura di detenzione in cui trasferire una buona parte dei prigionieri di Guantanamo. Oltre la metà dei detenuti del carcere sono infatti di nazionalità yemenita, e trasferirli in patria rappresenterebbe un passo fondamentale per svuotare il carcere nella base di Guantanamo Bay.

Le autorità yemenite avrebbero già stilato dei piani preliminari per la costruzione di una struttura alle porte di San’a, la capitale del paese, anche se secondo le fonti del LA Times per l’approvazione definitiva ci vorranno mesi. Il disaccordo tra le due parti non riguarda la questione logistica, ma i finanziamenti e la destinazione finale della struttura, se cioè debba essere un altro campo detentivo di massima sicurezza come Guantanamo o una sorta di centro di riabilitazione per favorire il reinserimento nella società di persone rimaste prigioniere in isolamento anche per più di dieci anni (Guantanamo venne aperto nel 2002 dopo gli attentati alle Torri Gemelle).

Gli Stati Uniti premerebbero per la prima soluzione, ovvero una nuova Guantanamo, ma le autorità yemenite non vogliono portarsi in casa una prigione così impopolare soprattutto nel mondo mediorientale, e sottolineano anche come una struttura del genere sarebbe un facile bersaglio per i terroristi islamici. Per quanto riguarda i fondi, lo Yemen ha chiesto aiuto agli Usa e all’Europa, e di recente nei colloqui si è inserita anche l’Arabia Saudita come mediatore e forse finanziatore.

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