Lettera di un prigioniero sulla rivolta nel carcere di Bolzano

diffondiamo da informa-azione

cordatesaQuello che segue è un racconto pervenutoci dal carcere di Spini di Gardolo (Trento) da un detenuto coinvolto nella famosa, almeno per qualcuno, rivolta nel carcere di Bolzano. Uno degli episodi più significativi tra le proteste carcerarie che hanno animato gli scorsi anni. Ricordiamo che un’intera sezione era stata resa inutilizzabile dalla rabbia dei detenuti stanchi dell’ennesima violenza poliziesca. Purtroppo la dispersione dei detenuti in varie carceri e la difficoltà a reperire i loro nomi non ci ha permesso di supportarli, fino a qualche settimana fa quando siamo venuti a conoscenza di un incidente probatorio a danno di alcuni agenti (11 per la precisione, 8 di Bolzano e 3 di Spini) al Tribunale di Bolzano, il 22 maggio scorso. Dopo il presidio che abbiamo organizzato fuori dal tribunale e dopo che qualcuno era riuscito ad arrivare all’aula dove venivano fatti i riconoscimenti, riuscendo a salutare alcuni detenuti, ci è arrivato questo racconto e la dichiarazione letta in aula quel giorno che invieremo a breve.
Crediamo che il supporto, adesso, a questi detenuti sia un passaggio importante per chi vede nella questione carceraria un anello fondamentale nella catena dell’oppressione.
Perché quando si renderanno conto che dai tribunali non si ottiene giustizia noi dovremo saperli supportare nella lotta.


Sono un ragazzo …che ha vissuto di persona la rivolta nel carcere di Bolzano il 23/01/12.
Il motivo di questa rivolta sono state una serie di maltrattamenti da parte di alcuni agenti nei confronti dei detenuti.
Questa rivolta è nata dopo tante manifestazioni nel corso degli anni.
Perché non si poteva più sopportare la violenza usata contro noi detenuti senza motivo.
Tanti detenuti sono stati vittime di maltrattamenti prima di quel giorno e nonostante abbiamo fatto proteste pacifiche per poter denunciare i colpevoli nessuno ci voleva ascoltare. Tutto ciò  che siamo riusciti ad ottenere sono promesse mai realizzate.

Quel giorno un detenuto è stato chiamato dall’ufficio matricola, perché dovevano dargli un foglio di 3 o 4 condanne per un cumulo di 6 anni circa definitivi, ma dentro questo definitivo c’erano 3 anni che lui aveva già scontato, per questo lui ha chiesto di andare all’ufficio per avere informazioni.
È stato ricevuto da un brigadiere dopo l’una di pomeriggio.
Ma quando questo detenuto è tornato in sezione aveva un occhio rosso e dei graffi sul collo perché è stato picchiato da quel brigadiere. Per questo il detenuto ha deciso di protestare assieme ad altri detenuti contro questa crudeltà. Così hanno iniziato ad urlare. L’agente che era di servizio si è spaventato lasciando la sezione e chiudendo il cancello senza far tornare i detenuti nelle celle che erano aperte. Quando i detenuti hanno visto che non c’era più l’agente si sono scatenati rompendo qualsiasi cosa si potesse rompere iniziando dalle finestre e poi lampade, sgabelli ecc..dopo di che hanno incendiato riviste, lenzuola e pure la scrivania dell’agente.
Dopo tutto questo il vice comandante che era presente quel giorno ha cercato di mettersi in contatto con noi detenuti nonostante il fumo fosse dappertutto. Lo abbiamo fatto entrare in sezione per ascoltare ciò che voleva chiederci, infatti lui ha chiesto di scrivere i motivi di questa rivolta.
La nostra richiesta è stata quella di far presentare il magistrato di sorveglianza e i giornalisti.

Mentre io e altri 5 detenuti eravamo impegnati a scrivere ciò che ci ha chiesto il vice comandante, non si sente più nessun rumore. Tutti i detenuti erano rientrati nelle celle perché nella sezione non si vedeva più niente e piano piano si faceva notte. Dopo di che abbiamo sentito dei passi pesanti nella sezione: erano agenti armati di manganelli e maschere anti-gas che avevano iniziato a far uscire i detenuti dalle celle nel cortile del passeggio e chi faceva resistenza rifiutando di uscire veniva picchiato selvaggiamente.
Con questa operazione sono riusciti a calmare la situazione. Dopodiche siamo stati chiamati uno alla volta  per essere visitati dal dottore che era al piano terra, per il fumo respirato.
Dopo essere stati visitati è arrivata la terza operazione.
Venivamo chiamati di nuovo uno alla volta dal vice comandante che aveva in mano i nostri fascicoli. Quando uno sentiva il suo nome si presentava davanti all’ingresso del cortile, entrava e lì trovava due agenti che lo accompagnavano in una cella liscia, cioè completamente vuota.
C’erano due celle di questo tipo, e quando si arrivava ad una di queste celle il detenuto trovava 5 agenti che lo facevano entrare chiedendo di spogliarsi completamente, dopo di che veniva ammanettato e dopo tutto questo si arrivò a ciò che non ci aspettavamo: botte su tutto il corpo, schiaffi, calci, manganellate mentre eravamo nudi e ammanettati.
Posso dire tutto ciò che riesco ma non riuscirò mai a descrivere ciò che succedeva dentro quelle due celle. Non ci sono parole per farlo. Ciò che succedeva era il massimo della crudeltà, la pura violenza selvaggia, il puro maltrattamento (mentre sto scrivendo mi vengono i brividi, purtoppo sono uno di quelli che ha vissuto questa brutta esperienza). Quando questi 5 agenti si stancavano ci chiedevano di rimetterci i vestiti, dopo ci toglievano le manette. Dopo tutte queste botte io personalmente ho fatto una fatica enorme a mettermi i vestiti. Dopo ancora manette e venivamo accompagnati verso il furgone con cui dovevamo essere trasferiti in un altro carcere. Per arrivare al furgone c’erano circa 100 metri di distanza da quelle due celle e mentre si veniva accompagnati da due agenti che ti tenevano dalle braccia mentre gli altri continuavano a darti schiaffi, pugni e calci senza pietà.
Io speravo di morire in quel momento perché non ce la facevo più a sopportare quel dolore.
Arrivati al furgone il detenuto veniva lasciato nelle mani di un altro agente, che posso descrivere come “Hulk bianco” per quanto era forte: riusciva a prenderci con una sola mano e ci sbatteva da un lato all’altro del furgone costringendo a pronunciare ad alta voce: “Mia madre è una puttana”, mentre calci e pugni cadevano come se piovesse. Aveva un modo violentissimo per farti sedere sul furgone.
Io ero con il primo carico di detenuti che dovevamo essere trasferiti al carcere di Trento. Eravamo in 20 dentro 5 furgoni, 4 per ogni furgone. Quando siamo arrivati a Trento c’erano una marea di agenti che aspettavano il nostro arrivo. Siamo scesi dai furgoni e davanti l’ingresso interno ci hanno ordinato di metterci in ginocchio e ci hanno preso a calci sulla schiena , mentre gridavano: “Bastardi figli di puttana! Questo è il benvenuto a Trento da parte nostra”. Poi ci hanno portato dentro, con schiaffi e insulti sulle nostre famiglie.
Prima di venire sistemati nelle celle dovevamo essere immatricolati, in questa fase venivamo lasciati nudi per più di mezz’ora al freddo mentre soffrivamo per il dolore causato dalle botte che nessuno di noi ha mai ricevuto in tutta la sua vita.
Nonostante questo io sono stato chiamato dal dottore 3 giorni dopo il mio arrivo a Trento. Questa è la  realtà che si vive dietro le mura delle carceri italiane!


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