Guantanamo: 130 detenuti in sciopero della fame

US-ATTACKS-RIGHTS-GUANTANAMO-PROTESTIl colonnello Morris Davis, ex capo-procuratore di Guantanamo, è stato molto chiaro sulla struttura detentiva statunitense di massima sicurezza, definendola “un capitolo deplorevole nella storia della nazione“.

Tale dichiarazione è stata rilasciata nel corso di una manifestazione che ha avuto luogo, il 17 maggio scorso, davanti la Casa Bianca, nella quale è stata chiesta la chiusura del carcere. Al presidente Obama è stata consegnata una petizionea cui erano apposte 210.000 firme. L’iniziativa è stata promossa con il supporto dell’Organizzazione Witness Against Torture.

Su Guantanamo non sono mai mancate pesanti critiche da parte di autorevoli organizzazioni internazionali, ma in questo particolare momento la questione della sua chiusura sembra non più aggirabile dal governo degli Stati Uniti. Recentemente ancheNavi Pillay, commissario per i diritti umani all’Onu, ha espresso un parere molto severo contro il dispositivo Guantanamo, sostenendo che la detenzione di presunti terroristi viola la legge internazionale. Inoltre, un’importante fetta di opinione pubblica americana incomincia ad essere molto critica sul carcere. Un’iniziativa di resistenza all’interno della struttura, uno sciopero della fame a cui hanno aderito 130 prigionieri (venti sono stati sottoposti ad alimentazione forzata), ha avuto il merito di segnalare una condizione di urgenza umana e civile, riaccendendo il dibattito sulle condizioni carcerarie dei detenuti.

Ricordiamo che i prigionieri non hanno rappresentanza legale e sono stati documentati casi ditortura da importanti organizzazioni come Amnesty International

Barack Obama, nella campagna elettorale del 2008, aveva usato parole molto simili a quelle del colonnello Morris, definendo il carcere, “uno dei capitoli più tristi della nostra storia“, e ne ha promesso la chiusura in molti discorsi pubblici. Fino ad oggi le promesse sono rimaste tali, staremo a vedere se la vicenda avrà un seguito.
Una cosa è certa, avere sul proprio territorio un campo di prigionia, nel quale degli uomini sono privati di qualsiasi statuto giuridico,non è esattamente quello che ci si aspetterebbe dalla “più grande democrazia del mondo”.

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