Immigrati, la storia di Karim rinchiuso a Ponte Galeria

cordatesaROMA – Karim ha 24 anni, un forte accento milanese, una vita in Italia, una fidanzata italiana e un figlio in arrivo. Ma ha anche il passaporto egiziano e rischia di volare a migliaia di chilometri di distanza con il divieto di fare ritorno. Spedito in un altro continente, separato dal bambino quando ancora non si sono potuti nemmeno conoscere. La sua compagna ha saputo da poco di essere incinta.

Tutti in sciopero della fame. Karim è uno dei sessanta internati nel Centro di identificazione e di espulsione più grande d’Italia, Ponte Galeria. Tutti i reclusi della sezione maschile stanno facendo lo sciopero della fame per chiedere pacificamente che vengano accolte una serie di richieste. “Procedure più rapide, un servizio sanitario più efficiente, la traduzione delle notifiche nella lingua d’origine, che le visite dall’esterno vengano facilitate senza tanta burocrazia, che venga facilitato l’espatrio di chi lo richiede senza un trattenimento di lungo periodo, che i tossicodipendenti vengano accolti in strutture adatte alle loro esigenze di recupero, che chiunque abbia uno o più carichi pendenti possa presenziare al suo processo in modo che non venga condannato in contumacia”, si legge in un documento fatto pervenire a Gabriella Guido, coordinatrice della campagna LasciateCIEntrare.

Il rispetto della dignità. “Il testo ha profondamente colpito noi tutti – dice Guido – Quello che chiedono i reclusi è che venga innanzitutto rispettata la dignità umana, che non viene “dismessa” all’ingresso di un centro di identificazione ed espulsione. La campagna LasciateCIEntrare  denuncia l’arretratezza e l’iniquità della normativa sulla detenzione amministrativa, che deve essere ridiscussa dal nuovo Parlamento al più presto”. Il documento contiene anche un’accusa molto grave. I migranti chiedono “che non venga usata più violenza nè psichica nè fisica contro di noi (giorni fa è stata somministrata una puntura di psicofarmaci ad un ospite contro la sua volontà che ha avuto una reazione dannosa alla sua salute provocandogli gravi danni, ancora oggi non può parlare)”. E concludono scrivendo: “Centri come quello di Ponte Galeria schiacciano la dignità delle persone e andrebbero chiusi per sempre. Noi stiamo motivando il nostro sciopero della fame. Ora voi motivate perché ‘ noi stiamo scontando una condanna senza aver commesso nessun reato”.

“Mi vogliono portare via a forza”. E’ sempre più frequente incontrare nei Cie persone prive di permesso di soggiorno, straniere sulla carta ma italiani di fatto, che si oppongono al rimpatrio. Come Karim. “Sto impazzendo, non ce la faccio più. Dicono che sono entrato in Italia nel 2006 ma non è vero, sono qui dal 1996 – racconta – qualche giorno fa mi hanno detto che ero libero, che mi avrebbero lasciato andare da mia mamma e dalla mia donna, che è incinta di due mesi. Mi hanno detto: vai tranquillo che te ne stai andando a casa. Dopo che ho superato tutti i cancelli e le sbarre, sono arrivato alla fine e mi hanno detto che stavo andando sull’aereo. Mi sono opposto, gli ho detto che ho la mia vita qua, un bimbo che sta per nascere, un fratello piccolo nato in Italia, un altro fratello sposato con un’italiana, in Egitto non ho nessuno. Mi hanno risposto che verranno con la scorta, hanno intenzione di portarmi via di prepotenza. Parlo meglio l’italiano dell’arabo, vivo all’occidentale, mi sentirei un pesce fuor d’acqua in Egitto. Stanno calpestando tutti i miei diritti”.

Il passato di Karim.
 Così Karim è stato riportato in gabbia, con la sua storia difficile e le sue domande rimaste senza risposta. Arrivato in Italia da piccolo, rimasto orfano di padre, affidato a una famiglia marocchina dai servizi sociali, da adolescente ha fatto uso di droghe. Nel suo passato, già un anno di carcere e tre di comunità di recupero. “Sono guarito dalla tossicodipendenza, ne sono venuto fuori – racconta – ho mantenuto la mia promessa, l’ho fatto per la mia donna. Aspettavo di essere regolarizzato all’uscita dalla comunità, sono rimasto nella convinzione che avessero mandato l’istanza di rinnovo per il permesso di soggiorno, ho scoperto ora che non era mai stata spedita. Lo Stato ha pagato per tre anni la comunità e poi mi rovina la vita quando ne sono venuto fuori, io sinceramente non ci ho capito niente”.

Non può dimostrare di essere padre di suo figlio.
 Rinchiuso nel centro di identificazione e di espulsione, Karim non può dimostrare di essere il padre del bambino. Il suo avvocato, Salvatore Fachile, si sta battendo perché gli permettano di fare il riconoscimento. La sua compagna, Federica, appena 21enne, fa la spola da Milano a Ponte Galeria. “Era andato a trovare degli amici a San Siro, lo hanno fermato e portato in questura – racconta lei – per due giorni non ho saputo nulla di lui, era come sparito, è stato un trauma. Al terzo giorno mi ha chiamata da Ponte Galeria. All’inizio non volevano neanche farmelo vedere perché c’erano sempre problemi con la mia richiesta. Stanno togliendo un padre alla mia bambina e un compagno a me”. Federica ha già una figlia di pochi anni che considera Karim come suo padre. “Ieri l’ho portata a vederlo, mi chiede sempre: perché papà non torna?”.

“Arcipelago CIE”.
 Intanto, la campagna LasciateCIEntrare annuncia per il 7 maggio una conferenza stampa in risposta al rapporto sui CIE redatto da un task force istituita dal Ministero dell’Interno e condotta dal Sottosegretario Saverio Ruperto. Un contro-rapporto è stato preparato anche dall’Ong Medici per i Diritti Umani, che lo presenterà il 13, dal titolo: “Arcipelago Cie”. Il rapporto Ruperto, lascito del vecchio governo al nuovo, ha suscitato molte critiche per le proposte in esso contenute, volte a fare dei Cie strutture più simili alle carceri, con personale formato dalla polizia penitenziaria e celle di isolamento per trattenere persone “di indole non pacifica” in modo preventivo, qualora si tema che possano causare danni alle strutture. Tutto questo contrasta con il fatto che non avere il permesso di soggiorno non è un reato penale, ma solo un problema amministrativo.

L’ultimo atto del governo Monti. Infine, un ultimo atto del governo Monti è stata l’ordinanza di Protezione Civile del 17 aprile 2013 che sblocca 13 milioni e mezzo di euro per la costruzione di due nuovi Cie, 10 milioni per quello di Santa Maria Capua Vetere e tre milioni e mezzo per quello di Palazzo San Gervasio. Quest’ultimo, in provincia di Potenza, era stato chiuso in fretta dal Viminale nel 2011 dopo l’inchiesta di Repubblica dal titolo “Guantanamo Italia”.

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