Il caso Pistorius e il dramma dei detenuti disabili

disabili-revolution1Il caso Pistorius accende i riflettori sulle condizioni di vita disumane dei detenuti con problemi fisici. L’omicidio di Reeva Steenkamp e il conseguente arresto dell’atleta paraolimpico Oscar Pistorius, ha acceso i riflettori su una questione da molti ignorata: lo stato delle carceri sudafricane e le condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere, specialmente quelli – e sono più di quanti si possa immaginare – che presentano disabilità fisiche più o meno gravi.

“Ho 50 anni e sono paraplegico” – Ne parla il Guardian, prendendo ad esempio il caso di un detenuto in attesa di processo che, come un terzo di tutti i detenuti sudafricani, non è stato colto in flagranza di reato. A dispetto del principio della presunzione di innocenza, sono 46.000 i detenuti in custodia preventiva, 46.000 persone che vivono in condizioni peggiori di coloro che, invece, stanno già scontando la propria condanna. “Ho cinquant’anni e sono paraplegico – racconta l’uomo ai giornalisti inglesi. Sto aspettando un processo da più di un anno, dopo che sono stato arrestato per frode nel dicembre 2011.
Non cammino, non ho il controllo delle funzioni intestinali e devo indossare dei pannolini che la mia famiglia compra per me. Non sento nulla dalla vita in giù. Non ho una carrozzina. Il mio co-imputato è stato rilasciato su cauzione, io non posso permettere di pagare così tanto. Anche la mia pensione di invalidità (103 sterline, circa 120 euro) che usavo per mandare a scuola la mia bimba di sette anni è stata sospesa. Ma la mia famiglia ha messo insieme un po’ di soldi e spero in una nuova udienza”.
In 88 in una cella per 32 – “Cammino spostando le gambe con le stampelle. Mi hanno sparato nella spina dorsale tre anni prima del mio arresto. Prima di essere trasferito ero nel carcere di Johannesburg, dove il medico mi aveva prescritto una carrozzina. Ma qui, non l’ho mai avuta”. E, come se non bastasse una grave disabilità fisica, si aggiunge il problema della sovrappopolazione delle carceri: “Vivere qui è dura – prosegue l’uomo – questa cella è pensata per ospitare 32 uomini: ma qui dentro siamo in 88, a volte anche di più. Dodici persone dormono in due letti a castello. Solo io ho il mio letto, ed è un privilegio: non lo devo dividere con nessuno per via della mia condizione. Quattro o cinque persone sono sieropositive. Mi sento vulnerabile. Non posso fidarmi di nessuno perché i miei compagni di cella cambiano continuamente. Preferirei essere morto piuttosto che stare qui”.
Dimenticato – Completamente in balia di se stesso, l’uomo deve riuscire a provvedere da solo anche alle necessità più elementari, come il cibo: “Mi ci vuole mezz’ora per trascinarmi fino in cucina. Ecco perché non faccio colazione. Ci vado una volta al giorno, per pranzo. Le guardie non permettono agli altri prigionieri di portarmi del cibo. Dicono che devo arrangiarmi da solo. Devo pulire le mie piaghe da solo, due volte al giorno. Non ci sono medicinali e io ho continui dolori. Se ti ammali, puoi aspettare anche una settimana prima di vedere un medico”.
“Problemi di ordine pratico” – Britta Rotmann, del dipartimento dei servizi correzionali, spiega che il sistema carcerario sudafricano prevede che ogni detenuto con disabilità riceva un adeguato trattamento: “Le condizioni di vita dei detenuti sono al centro del nostro lavoro, ma spesso ci si scontra con problemi di ordine pratico”.

Fonte


Comments are disabled.